
L’Italia è l’unico paese in cui docenti dopo aver superato prove tecniche difficilissime non vengono immediatamente inseriti in ruolo ma spesso sperimentano anni di precariato. Le supplenze, che dovrebbero essere un’eccezione volta a coprire le assenze temporanee dei docenti, sono in realtà diventate un’esperienza a lungo termine che può estendersi, in alcuni casi, addirittura a ridosso della pensione. Come nell’emblematico caso di un docente di Trieste che ha assunto il ruolo a 63 anni, dopo 26 anni di supplenze temporanee.
Il sistema del reclutamento dei docenti italiano è basato su un meccanismo burocratico chiamato G.A.E. (graduatorie a esaurimento), un sistema utilizzato sia per l’attribuzione dei contratti a tempo determinato (supplenze) sia per l’accesso alla stabilizzazione (ruolo). Tali graduatorie purtroppo, sebbene riformate numerose volte nel corso degli anni, non hanno ancora risolto il problema delle supplenze reiterate e della stabilità dell’insegnamento.
Graduatorie ad esaurimento: cosa sono e come funzionano
Le G.A.E. sono graduatorie, aggiornate ogni tre anni, in cui vengono inseriti i docenti in possesso di abilitazione all’insegnamento, raggruppati per provincia. Prima del 2006, in mancanza di concorsi abilitanti per l’accesso alla docenza, la selezione avveniva attraverso le cosiddette graduatorie permanenti che indicavano il punteggio ottenuto “sul campo” dai docenti tramite supplenze e corsi di formazione. Tali graduatorie avevano però dato origine a numerose lamentele, ricorsi e contenziosi, motivati da un sistema di accesso ritenuto poco chiaro. Così nel 2006 con la legge 296 tali graduatorie vennero trasformate in graduatorie a esaurimento. Questo tentativo però non è stato esente da criticità soprattutto in riferimento ai trasferimenti del docente da una provincia all’altra, che prevedevano una prevalenza del criterio territoriale sul bagaglio professionale del docente.
A tutt’oggi le graduatorie sono molto importati poiché da esse sono selezionate le immissioni del 50% dei posti che ogni anno vengono autorizzati dal MEF (Ministero Economia e Finanza). Nel 2015 con la legge della Buona Scuola di Matteo Renzi vennero immessi in ruolo tutti i docenti dotati di abilitazione che avevano raggiunto 3 anni di insegnamento in supplenza. Recentemente il MEF ha anticipato che nell’anno scolastico 2024/25 verranno totalizzate 45.124 assunzioni a tempo indeterminato. Nonostante questo, i docenti non sono ancora sufficienti per coprire la richiesta di supplenza.
Le conseguenze per i docenti
La condizione di precariato che colpisce quasi tutti i docenti, almeno in una parte della loro vita lavorativa, è psicologicamente e socialmente dannosa. Le difficoltà che i docenti affrontano ogni giorno dipendono principalmente dall’incertezza sul proprio futuro che condiziona pesantemente la creazione di una famiglia stabile (problema maggiormente avvertito dagli uomini) ma ha ripercussioni negative anche per gli studenti ai quali viene a mancare la continuità educativa, fondamentale per l’acquisizione di un metodo di studio efficace. Anche il sistema scolastico nel suo complesso risente del precariato in quanto la frequente alternanza del personale non consente una progettazione didattica a lungo termine con evidenti ripercussioni sulla qualità dell’insegnamento. Ultimo elemento negativo, ma non per importanza, è la retribuzione inferiore che viene assegnata ai docenti precari rispetto a quella dei colleghi di ruolo: è una vera e propria discriminazione economica che vede la negazione dei diritti legati alla carriera.
Il caso dei docenti precari di lunga durata
Il sistema scolastico italiano sfrutta l’attività di molti insegnanti che ricoprono supplenze per decenni, senza mai diventare parte integrante del sistema. Nonostante la loro vastissima esperienza non vengono riconosciuti come membri permanenti della comunità, con un impatto devastante sulla loro stabilità economica, familiare e sulla loro carriera. Le frequenti interruzioni del contratto, la mancanza di continuità, l’obbligo di spostarsi geograficamente dove c’è più richiesta e il dover sottostare ad assunzioni senza un criterio organico di pianificazione, possono danneggiare i supplenti a tal punto da indurli a cambiare i progetti lavorativi.
Per comprendere fino in fondo la portata professionale ed emotiva di decenni di precariato possiamo ascoltare l’esperienza vissuta da una docente che per 15 anni ha sperimentato in prima persona tutte le difficoltà sopra descritte. Si tratta della professoressa Elisabetta Costetti, attualmente docente di ruolo presso il liceo Gaio Valerio Catullo.
La funzione delle Rsu per combattere il precariato
Rsu vuol dire Rappresentanza Sindacale Unita ossia un organismo sindacale che deve tutelare i docenti nelle varie istanze nei confronti del dirigente scolastico e del ministero in generale. Il docente Rsu non è un sindacalista di professione, ma si fa carico di rappresentare i docenti e di risolvere i contrasti con il datore di lavoro in senso lato. Il lavoro sindacale nel mondo dell’istruzione è necessario per difendere gli interessi e i diritti dei docenti e conseguentemente degli studenti. Sia i docenti di ruolo che quelli precari si affidano e delegano il sindacalista nell’organizzazione e soluzione dei problemi collettivi. E’ infatti dalla mediazione che si risolve il conflitto tramite dialogo e trattative.
Allo scopo di comprendere meglio l’attività dei sindacati scuola, la professoressa Annaclaudia Masci, docente di un liceo di provincia con esperienza pluriennale in qualità di Rsu, spiega come i sindacati della scuola hanno affrontato in passato il problema della precarietà dei docenti e traccia qualche linea di soluzione del problema per il presente e per il futuro.
Le proposte per superare la precarietà
Le soluzioni alla criticità della precarietà sono urgenti ma non semplici da realizzare.
Innanzitutto il sistema di reclutamento, basato esclusivamente su concorso, predilige la formazione teorica ma non assicura la capacità didattica. La nuova scuola infatti pretende l’adozione di approcci più creativi e flessibili allo studio e una capacità empatica che non viene valutata nella selezione concorsuale. Occorre quindi rinnovare i metodi di selezione permettendo a chi ha comprovata esperienza, di entrare in ruolo in modo più rapido e meritocratico. Sarebbe auspicabile inoltre premiare tutte quelle “Buone pratiche” che rendono la scuola italiana unica nel suo genere: rendere quindi fruibile a tutti il giusto approccio allo studio e all’ approfondimento. Allo scopo di risolvere l’annoso problema dell’inizio dell’anno scolastico con cattedre ancora da assegnare, occorre organizzare la copertura di tutte le cattedre un anno per l’altro in modo da assicurare agli studenti la pienezza del corpo docente.
In questa ottica e per affrontare la suddetta esigenza il governo italiano sta realizzando un nuovo modello di reclutamento contenuto nel “Piano strutturale di bilancio di medio termine Italia 2025-2029” nel quale si auspica un maggior investimento di risorse sia per rinnovo del contratto sia per le nuove assunzioni. Se venisse attuato uno stabile investimento nell’ istruzione, gli effetti perdurerebbero nel futuro con una diminuzione di analfabetismo funzionale che invece, ad oggi, secondo l’indagine OCSE, vede l’Italia al quartultimo posto sulle competenze di comprensione di testi e numeri. La correlazione fra competenze cognitive e sviluppo è il motore della riforma che andrebbe applicata all’Italia e tutto si può ottenere a partire dalla scuola e dalla necessaria stabilità che deve guidarla. Perché il futuro è dei giovani che hanno diritto ad avere il migliore degli insegnamenti possibili.
Dalla cattedra al banco: la prospettiva dello studente
Personalmente, da studente, ho sperimentato la precarietà nel mio docente di storia dell’arte. Al liceo scientifico, storia dell’arte è una materia sia teorica che pratica poiché prevede anche l’insegnamento del disegno tecnico. Nei 5 anni ho visto alternarsi 7 diversi professori con conseguente modifica di stili di insegnamento, approccio valutativo e rapporto interpersonale. La classe si è trovata spesso di fronte a docenti che ripetevano gli stessi argomenti a volte in modi diametralmente opposti dipendenti dal loro corso di studi, creando più dubbi che certezze. Un docente con preparazione tecnica infatti ci aveva fatto approfondire gli strumenti tecnici del disegno tecnico prospettico, mentre una docente storica dell’arte si focalizzava maggiormente sull’iconografia e iconologia delle opere d’arte. La classe ha colto l’incertezza dei supplenti che determinava un’impossibilità di programmazione a lungo termine e una sottovalutazione del peso specifico della disciplina e del docente rispetto agli altri. È un annoso problema a cui va trovata presto una soluzione definitiva perché colpisce soprattutto il docente ma incide anche sulla formazione degli studenti.