«Non può essere che le due donne si scambino un abbraccio così pudico… senza nemmeno guardarsi negli occhi!», osservano molti. In effetti è anomala, questa Visitazione, con i personaggi quasi in posa da foto-ricordo: Elisabetta è affiancata dal marito Zaccaria, munito di stampella, a sottolinearne l’età avanzata, mentre Maria ha accanto Luca, che tiene in mano il proprio Vangelo, l’unico a raccontare la Visitazione.
Perché Maria si precipita dalla cugina? Per farsi confermare che è vero ciò che l’angelo le ha riferito. Maria sa di Elisabetta, mentre Elisabetta non sa di Maria. Ma quando Elisabetta, dopo che il bambino le sussulta nel grembo, la saluta come «la madre del mio Signore», Maria capisce che Dio sta mantenendo le sue promesse ed esulta nel Magnificat.
Pur senza essere un capolavoro d’arte, l’opera è un capolavoro di fede. Dove la didascalia, in latino, è fondamentale per dire ciò che le immagini non possono dire: «Il bambino esulta mentre la vergine saluta la sterile». Tre «non può essere!», tre cose impossibili da mostrare (l’esultanza nella pancia di mamma, la verginità e la sterilità), sono rese possibili dalle parole… In questo modo la Visitazione, più che dare l’idea di una visita di cortesia, diventa la celebrazione di due miracoli in corso d’opera, con le due miracolate e con un bimbo che scoppia di gioia per il cuginetto in arrivo.
In un’opera dai gesti frenati, va notato un gesto in controtendenza: sulla spalla del futuro padre di Giovanni, ancora afono per aver dubitato, c’è la carezza rincuorante dell’angioletto.