«Non può essere che i tre Magi dormano insieme, sotto un’unica coperta». E perché? Può essere eccome: sarà improbabile nella realtà, ma in un capitello è possibilissimo, se lo spazio è risicato. «E può essere che si siano coricati con la corona in testa?». Certo che sì, perché i tre vanno resi riconoscibili. Non andiamo sempre a caccia della verosimiglianza, nel giudicare un’immagine! Ciò che conta è il fatto che si sia voluto raccontare a ogni costo – anche in poche decine di centimetri – il sogno dei Magi, pur di ricordare che il male esiste. Ma che, grazie a Dio, esiste chi mette in guardia dal male. Ed esiste chi il male lo combatte.
Che cosa succede nel sogno? Che, come racconta Matteo (2,1-12), un angelo avverte i Magi di «non tornare da Erode», che aveva cattive intenzioni verso il bambino nato a Betlemme, per cui i Magi «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».
Non sono poche le immagini che riproducono questo sogno (se ne trovano a Milano, Como, Verona, Forlì, Firenze, Pisa, Pistoia, Gemona, Amiens, Arles, Autun, Chartres, Le Mans, Tarragona, Canterbury…), anzi sono così numerose che si potrebbe fare un libro per raccoglierle. Con una menzione speciale per gli scultori dei capitelli, spesso anonimi, che da un piccolo blocco di pietra riescono a estrarre sintesi mirabili di una storia. La quale, ovviamente, ha poi bisogno di parole di accompagnamento da parte di qualcuno che spieghi, poiché l’immagine, da sola, fa poco.
La cosa, in sé, non sarebbe difficile da fare. Invece la cosa da capire è perché, da una certa epoca in poi, si smetta di rappresentarlo, il sogno dei Magi. Si preferisce chiudere un occhio e non turbare le anime candide, optando per immagini zuccherose, con la scusa di mostrare soltanto ciò che è bello e ciò che è buono: persino i presepi, che il 6 gennaio mettono in scena i Magi adoranti, lì si fermano e non vanno oltre, stendendo un velo pietoso sulla Strage degli innocenti. Non può essere che non guardare il male sia il modo di tenerlo a distanza.