Nel 2016 a Roma un musulmano che decide di convertirsi alla religione cattolica rischia la vita. Nella capitale d’Italia, intraprendere il cammino di conversione non è per niente facile, anzi «i battesimi dei catecumeni avvengono, in alcuni casi, in segreto». Queste sono le parole di monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio Catechistico e del Servizio per il Catecumenato presso il Vicariato di Roma. «La paura è quella di poter perdere il posto di lavoro o, nei peggiori dei casi, morire per aver osato convertirsi ad un’altra religione».
Non tutti sanno che i musulmani, in realtà, sono affascinati dalla figura di Gesù, in particolare il mondo femminile, che guarda con attenzione ad un uomo che amava intrattenersi a parlare con le donne, con gli emarginati, tutelava i più deboli. Tanto che nel Corano, precisamente nela Sura III, Gesù (in arabo Isā), è definito come «il profeta che ha preparato la venuta di Maometto». Viene accettata la “nascita virginale” da Maria Vergine (in lingua araba Maryam), gli sono attribuiti numerosi miracoli (karamāt), ma – spiega Lonardo – «l’elemento che divide le due religioni è la croce.
I musulmani non credono alla Trinità, tanto che nella Sura IV la croce viene definita un’invenzione dei cristiani, una falsificazione storica. Si racconta, infatti, che Gesù né l’uccisero né lo crocifissero, ma fu salvato da Allah e portato sul Monte degli Ulivi». Per la religione musulmana, quindi, a morire fu Giuda, il traditore, mentre Gesù è ancora vivo in corpo e anima in cielo, presso Allah. Quindi Maometto è morto e dovrà solo risorgere, Gesù invece dovrà tornare sulla Terra, morire, risorgere e giudicare il mondo».
Quindi monsignor Lonardo ha un compito molto importante, ovvero insegnare ai catecumeni che «il male può essere perdonato solo sulla croce. La croce è misericordia, è l’amore più grande possibile ed è un cammino condiviso che arriva a risolvere la solitudine in una società».
Ogni anno il numero dei battesimi si aggira intorno ai 1115, di cui 115 adulti e gli altri mille bambini, tra i 7 e gli 8 anni, che ricevono il sacramento per volontà di uno dei due genitori. Il percorso per i catecumeni dura due anni poiché, come precisa Lonardo, «dopo il battesimo si rimarrà per sempre cristiani». È necessaria quindi una fortissima determinazione, ma anche tanto coraggio perché, purtroppo, non sempre la scelta di cambiare religione è accettata serenamente dalla famiglia o dal contesto sociale di riferimento. «Sono rimasto colpito dalla storia di un ragazzo, originario dell’Afghanistan, che, dopo la morte del padre, con il Paese in guerra e sotto i bombardamenti americani, decise di lasciare tutto e partire insieme alla madre e la sorellina. Giunti in Turchia vennero separati e riuscì ad arrivare in Italia attaccato sotto un camion. A Roma condivideva la camera con un iraniano e, mi confessò, che era costretto a leggere la Bibbia di nascosto, pena la morte».
Monsignor Lonardo racconta che per i musulmani la conversione è considerata un’“offesa” per la famiglia di origine, un rinnegare della propria cultura. La religione, soprattutto per l’uomo musulmano, è qualcosa che va oltre la fede e convertirsi è un atto di “tradimento” nei confronti del Paese che gli ha donato la vita. «A tal proposito ricordo la storia di una giovane iraniana, accusata dalla madre di volersi convertire per rinnegare le sue origini persiane e diventare “occidentale”. La rassicurai che il cristianesimo non è occidentale, ma nasce in Oriente, basti pensare alla chiesa Caldea, una Chiesa martire, nata intorno al 450, quindi prima dell’avvento dell’Islam. Negare l’aspetto autoctono del cristianesimo equivale, quindi, a negare le proprie origini. Lei, non stava rinnegando le sue origini, anzi era tornata alla Persia antica».
Non bisogna considerare utopico il dialogo interreligioso con l’Islam, ma sicuramente è necessario che i musulmani compiano un salto di qualità: staccarsi dalle sue origini. «Uno dei punti su cui oggi i musulmani discutono riguarda, ad esempio, l’abbandono della violenza arcaica. Questo, come altri aspetti, possono essere reinterpretati, con l’ermeneutica, proprio come è stato fatto con l’Antico Testamento, e rivisti da un punto di vista storico». Il musulmano non ama discutere di tematiche religiose né con i musulmani né tanto meno con altri. Qualora decidesse di affrontarle è perché dentro di lui c’è già un interesse verso un’altra religione».
A questo punto emerge il vero nodo della questione: l’Islam è in crisi e questa si estende ai valori, alla coscienza, ma soprattutto la crisi è di tipo sociale. I fatti di Parigi, le immagini di boia che decapitano uomini e donne in nome di Allah, ha generato confusione in coloro che ad Allah ci credono veramente.
Illuminante è la posizione di Abdennour Bidar, francese di seconda generazione, filosofo, specializzato in evoluzione contemporanea dell’Islam e delle teorie di secolarizzazione e post-secolarizzazione, il quale nel gennaio 2015 scrisse, per l’Huffungton Post, una lettera aperta al mondo islamico. Egli accusa apertamente i musulmani e il loro atteggiamente omertoso. «Daesh è figlio nostro, non viene dall’America e dobbiamo smetterla di fingere di non avere un tumore».
Tutti c’entrano e proprio per questo – denuncia Bidar – «non ha senso nascondersi dietro lo slogan #NOTINMYNAME, anzi bisogna lottare per le libertà politiche, religiose, parità tra i sessi, tutela delle minoranze. La maggior parte ha talmente dimenticato che cos’è la potenza della religione, che ricercano il problema dell’Islam nella politica, economia e nella storia. Vivono in società cosi secolarizzate che non si ricordano che la religione può essere il cuore del reattore di una civilizzazione umana».
L’impegno portato avanti da Monsignor Lonardo, la forza di volontà e il coraggio dei catecumeni è la dimostrazione che non occorrono manovre finanziarie o accordi internazionali per raggiungere la pace e l’armonia, anzi il cammino verso il cristianesimo è già integrazione sociale.