Giuseppe ha 28 anni e viene da Lecce, città in cui è vissuto con i genitori e la sorella fino ai 21 anni.
La sua è una storia resa speciale da una ricerca della propria vocazione per niente scontata e da una donna che lo amava davvero. Anche se lui dice: «La
mia storia è molto normale: un classico ragazzo del Sud Italia, con
tanti progetti, sogni… Da sempre portato per lo studio: liceo
classico, università, filosofia. Tante passioni, teatro, musica…
C’era anche l’esperienza dell’oratorio, che è stato un po’
il filo rosso di tutta la mia adolescenza, ma che non ho mai vissuto
come una prospettiva di vita. Io non ho mai pensato di poter vivere
tutta la vita da salesiano. Mai, mai! Fino a 21 anni».
Allora cosa volevi fare?
«Avevo
altri progetti, mi piaceva il giornalismo o l’insegnamento…»
So che ti piace la musica. Qual è il tuo gruppo preferito?
«A
me in generale piace tutto il rock britannico. I Coldplay sono il
gruppo che seguo di più, perché mi piacciono molto. E poi c’è la
passione per Jovanotti fin da ragazzino, i primi cd, le cassette di
mio cugino già nel lontano ‘94… Dei
Coldplay mi piace un sacco “A sky full of stars” e “Adventure
of a lifetime”… e di Jovanotti adesso mi piace molto “Pieno di
vita”, l’ultimo singolo…»
La canti mentre fai la doccia?
«No,
non la canto perché sono stonato e non mi piace cantare».
Cosa ti ha portato a fare la scelta di diventare salesiano?
«Paradossalmente
proprio con l’università ho vissuto la mia bella crisi di fede.
Non c’era un professore che fosse minimamente credente, erano molto
critici verso la Chiesa, verso una visione metafisica cristiana. La
mia scarsa fede da animatore salesiano nel giro di un semestre crollò
miseramente…»
Qualcuno ti ha aiutato, in quel momento?
«Sì,
in tutto ciò fu fondamentale la figura della mia ragazza».
Eri fidanzato?
«Ero
fidanzato da quattro anni. Volevo lasciare oratorio e fu lei a dirmi:
“Lascia stare, aspetta, confrontati con qualcuno, non lasciare
l’oratorio, è un servizio che ti può servire…”».
Cosa hai deciso?
«Fidandomi,
continuando a frequentare l’oratorio con tutti i miei dubbi,
proprio lì ho conosciuto un salesiano, in un turno di esercizi
spirituali a cui non volevo nemmeno andare, che mi lasciò inquieto.
Come se per la prima volta avessi visto una persona che davvero ci
credeva profondamente. Non perché prima non avessi conosciuto altri
bravi salesiani, ma quello lì… non so. Aveva una cosa particolare.
Col senno di poi dico che il Signore in quel momento me l’aveva
messo sulla strada nel momento giusto».
Cosa è successo dopo quell’incontro?
«Poi,
passo dopo passo, ricostruii la mia fede. Mi sono reso conto che il
Vangelo era molto di più che una lettera morta, una ideologia o
un’idea vaga… Mi sono reso conto per la prima volta, a vent’anni
superati, che il cristianesimo era una persona viva, Cristo, con cui
potevo parlare, che aveva a che fare con la mia vita».
Qualche ricordo particolare di quel periodo?
«Sì.
Dopo tutto questo, per la prima volta andai a Valdocco, la casa madre
dei salesiani. Ma la mia fede era ancora molto vacillante. Però,
posso dire che proprio lì, ho incontrato per la prima volta Cristo.
Mi sono sentito guardato. E mi ricordo proprio il luogo: di fronte al
tabernacolo del tempio superiore. Lì ho vissuto per la prima volta
la mia Damasco, una botta in fronte, una bella crisi».
Come hai conciliato questo avvenimento con la scelta universitaria?
«Io
studiavo la filosofia perché volevo scoprire la verità… e, con un
giro assurdo, stavo scoprendo che la verità non era nei libri di
filosofia, non era nella fenomenologia, in Schopenhauer, in
Kierkegaard, in Nietzsche, in Heidegger, ma era in Gesù di
Nazareth!»
E poi?
«Così,
passo dopo passo, un animatore salesiano, abbastanza anonimo, come
tanti, si è ritrovato a sognare di diventare salesiano di Don Bosco
per tutta la vita».
Qual è stata la reazione della tua fidanzata?
«Eh…
abbiamo sofferto molto, ma insieme. E lei mi ha dato una grandissima
dimostrazione di fede».
Perché? Cosa ha fatto?
«Quando
io le dissi, per la prima volta, a dicembre del 2007, che volevo fare
un percorso di discernimento vocazionale, lei, che aveva molta più
fede di me e un cammino molto più solido, mi disse: “va bene, me
ne ero accorta”».
Vi siete lasciati subito?
«No.
Mi disse: “finché non sei convinto non ci lasciamo”. Poi
aggiunse: “abbiamo condiviso molto insieme, voglio condividere con
te anche questo tratto di percorso”. E dopo tre mesi e mezzo fu lei
a dirmi: “Guarda, Giusè. Mi rendo conto che ormai il tuo cuore sta
da quella parte”».
Era davvero una persona speciale
«Sì.
Ma mi disse ancora: “proprio perché io sono convinta di amarti,
accetto anche il fatto che la tua felicità non sia con me”. Mi ha
dato un enorme dimostrazione non solo di fede, ma anche di amore
gratuito, perché mi ha detto: “io ti amo anche se non sei mio”.
Io non so se sarei riuscito a dirglielo…»