Questa insieme ad altre 14 schede grammaticali compongono il poster “Vocabolaria. Dire la differenza”, un progetto contro il sessismo linguistico mirato a restituire autorevolezza alle parole di genere femminile. Ideata dall’associazione PianoF con un finanziamento della Regione Lazio. L’iniziativa è stata presentata lo scorso 11 Marzo presso la Biblioteca Europea di Roma. Presenti Cristina Biasini, Carlotta Cerquetti e Giorgia Serughetti, autrici di “Vocabolaria. Dire la differenza”.
«Abbiamo creato questa associazione – spiega Giorgia Serughetti – per ristrutturare le narrazioni stereotipate di genere a partire dalle parole con cui nominiamo le cariche. Perché un avvocato donna non possiamo chiamarla avvocata? Ci sono degli ostacoli alla naturalezza del femminile. Ma non dovremmo far altro che applicare le regole grammaticali della nostra lingua che prevede di concordare tutti i nomi o in genere maschile o in genere femminile».
«Diffonderemo il poster in scuole e circuiti culturali per sensibilizzare grandi e piccoli all’uso corretto del genere linguistico» ha affermato Cecilia D’Elia, consulente della Regione Lazio per la tutela dei diritti di genere, aggiungendo che «nel discorso pubblico, nella scuola pubblica, nei programmi nazionali il nostro Paese è poco segnato da una cultura delle differenze di genere. Penso che la strada fatta per restituire dignità alla donna sia stata tanta ma poco accompagnata da risorse culturali come l’uso di nomi al femminile. È giusto segnalare un problema che ancora oggi deve lottare contro una forte resistenza politica. Pensiamo che uno strumento come il poster possa aiutare a dire la differenza. Dicendo al femminile alcune parole queste acquisteranno più autorevolezza».
Responsabili di questo uso scorretto di nomi e cariche sono soprattutto i media e i giornali che il più delle volte preferiscono seguire consuetudini maschiliste. «Inizio con un mea culpa – dice Francesca Caferri, giornalista de “La Repubblica” – perché giornali e tv sono responsabili di queste discriminazioni linguistiche. Bisogna insistere e continuare a provare perché se l’italiano è una lingua flessibile tanto più lo sarà anche quella dei media. Alcuni traguardi, però, li abbiamo già raggiunti. Oggi trovare sui giornali il termine “femminicidio” è usuale. Quattro anni fa non era così e la parola “femminicidio” veniva sostituita da omicidio o delitto passionale. All’estero è tutto più semplice, il termine “presidenta” c’è sempre e non fa senso ai giornalisti. Ma nei giornali conta anche chi è il tuo capo. L’ufficio centrale de “La Repubblica” (quello che decide quali titoli fare uscire) è composto in maggioranza da uomini e questo crea una grande resistenza».
Cristina Biasimi, co-autrice del progetto, si chiede: «perché esistono parole normalissime per cui il meccanismo di distinguere non funziona? Non per le parole in sé ma perché quelle parole designano cariche o ruoli che non vengono ricoperti da donne. Il rifiuto del genere è il rifiuto del ruolo femminile. Tina Anselmi quarant’anni fa si faceva chiamare ministra».
Le schede e il poster nei diversi formati digitali possono essere scaricati all’interno del sito dedicato a Vocabolaria. Dire la differenza
Assessore, come ingegnere o giardiniere, è un nome che forma il maschile in -e e il femminile in -a. La risposta quindi è molto semplice: il femminile è assessora. Allo stesso modo, avremo ingegnera, revisora, giardiniera, tesoriera ecc. Anche in questo caso, non c’è nessuna ragione per violare una regola della grammatica italiana ricorrendo a frasi come “l’assessore è stata invitata all’inaugurazione della biblioteca” . (scheda n°4)