Che fascino, l’ingenuità di Ligabue

"La mela che non marcisce"/3 ripropone il primo album di Luciano Ligabue, che quando uscì ebbe un successo straordinario e contiene brani indimenticabili

Questa settimana la mela che non marcisce è il primo album di Luciano Ligabue, che porta il suo nome.

«”Ligabue” è il mio album preferito. Magari non è quello venuto
meglio, però è straordinariamente innocente […], caratteristica andata via
via smarrendosi nel tempo. Un album prodotto da me che avevo un esperienza
scarsa e mediocre […]. Tutto quello che ho cercato di fare è di preservare il
suono che veniva fuori dalla cantina in cui provavamo io e i Clan
destino», ha dichiarato il cantante,

 

È uscito nel 1990
e, come tale, ha una storia
intrinseca che merita di essere raccontata. È il
classico disco di un cantante rock, che scrive canzoni con una chitarra fra le
mani e tante idee in testa, e quindi ciò che vince nel complesso del disco sono
le chitarre. Sono gli anni in cui il rock strabordava di suoni di tastiere e
probabilmente lo spiccare di chitarre distorte, fece drizzare le antenne a
Fabrizio Giannini
, allora direttore artistico della Warner.

Come capita a molti artisti nei loro primi dischi,
“Ligabue” trasuda di autobiografia. È un disco di quelli che, dopo venti anni, lo
riascolti con piacere perché legato a immaginari di giovinezza quali bar,
danze, sogni, ribellioni e storie d’amore. Ebbe da subito successo sia in
studio che nei live, vincendo cinque dischi di platino. Ancora oggi contiene
pezzi storici che puntualmente sono sulla bocca e nel cuore dei fan come “Sogni
di R&R” e “Non è tempo per noi”, o “Marlon Brando” è sempre lui. “Balliamo sul
mondo”, per esempio, vinse il Disco Verde al Festivalbar del 1990.

È poco importante se l’album contiene chiare ingenuità
sonore, come l’arrangiamento troppo country di “Non è tempo per noi”, alcuni pezzi
storti e che suonano male come “Bar Mario”. Tutto diventa un dettaglio quando a
compensare ci sono brani come “Figlio d’un cane” o “Freddo cane in questa palude”.
É magistrale lo sfondo musicale di “Angelo nella nebbia” che, ascoltandolo ad occhi chiusi, rimanda a immaginari di
nebbia e colori, al gusto di atmosfere divine e creature angeliche.

Ci sono due
brani che hanno sfondato il muro del tempo, e che ancora oggi girano forte. Il
primo spiega la storia di una Bambolina che diventa all’occorrenza Barracuda,
un brano uscito bene anche se poco apprezzato in primis dall’autore stesso; il
secondo è “Piccola stella senza cielo” che Ligabue definisce
“una storia vera che è invecchiata molto bene”.

L’album si chiude con “Figlio d’un cane”, un brano dedicato a
tutti coloro che nella loro quotidianità sanno benissimo che purtroppo hanno un
padrone al quale dovranno rendere conto prima o poi. Ma è anche un brano per
tutti quelli consapevoli, allo stesso tempo, che non si adegueranno mai ad
essere sottomessi, essendo nella loro indole “»bastardi, rognosi, […], ma
tutto sommato ululanti e soprattutto vivi”.

 

“Ligabue” è l’album che apre la
carriera di un artista
che è sulla cresta dell’onda da
ventiquattro anni. È il primo disco dal suono “ingenuo” che segna la
nascita di una carriera che ancora oggi riempie stadi, palazzetto e teatri.

 

Testi: 9

Musica: 7

Voto complessivo dell’album: 8

“La mela che non marcisce” n° 2 è qui

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