Si parla del latino come di una “lingua morta”, che appartiene al passato, ma è ancora studiato a scuola, anche se spesso è vissuto come un fastidio da tanti studenti. E nella Chiesa, dopo il Vaticano II, il latino è ancora importante oggi?
Per approfondire il tema, abbiamo incontrato il professor Miran Sajovic, preside-decano della Facoltà di lettere Cristiane e Classiche dell’Università Pontificia Salesiana. È un salesiano slavo, che si occupa di letteratura cristiana antica classica e quindi dello studio dei testi latini dei primi secoli. E tra l’altro è autore di un libro intitolato “Evagrius Magister” (Las, 2016).
Professore, che cosa vuole dire il titolo “Evagrius Magister” e perché l’ha scelto?
«“Evagrius Magister” vuole dire Maestro Evaglio: è un personaggio del libro che porta questo nome. La sua vocazione è di essere maestro di lingua latina».
Di che cosa tratta il libro?
«“Evagrius Magister” è un manuale, perché è indirizzato all’uso scolastico, per gli studenti delle istituzioni ecclesiastiche, come le facoltà di diritto canonico, filosofia, teologia, i seminari minori e maggiori e i noviziati. È un manuale che propone imparare la lingua latina con un metodo naturale, cioè come una lingua parlata, scritta, cantata, letta, ascoltata».
Imparare o studiare il latino è ancora importante per la nostra società, e per la Chiesa soprattutto, anche se quasi tutti documenti della Chiesa dopo il Vaticano II sono stati tradotti nelle lingue dei popoli? Non è tornare indietro, imporre la lingua latina alla Chiesa ?
«La lingua latina ha questa fortuna, che nello stesso momento è “morta” e “viva”, cioè ha un valore che non è mai tramontato. Non soltanto come lingua in sé, ma soprattutto per quello che è rimasto depositato in essa: pensiamo alle opere dei grandi scrittori come Cicerone (solo per citare uno) o agli scrittori ecclesiastici come Augustina. Solo attraverso la lingua lattina troviamo la chiave per aprire questi tesori, cominciare a dialogare con questi autori ed imparare da essi tante cose che ci rendono migliori. Noi dobbiamo capire che non siamo nati oggi. L’uomo – nel suo sviluppo e nella sua storia – ha già avuto problemi simili ai nostri. Come li ha risolti? Come ha cercato di migliorare? Tutto questo possiamo impararlo da questi autori. Attraverso questa lingua ci vengono trasmessi messaggi perenni dell’umanità, che non possiamo ignorare. Nell’ambito ecclesiale, poi, il latino rimane la lingua senza la quale non possiamo seriamente studiare le discipline teologiche e avvicinarci al mistero di Dio. E senza la quale non possiamo leggere le fonti. Il primo problema è che le fonti non sono tutte tradotte nelle lingue vernacolari o nelle lingue che si parlano oggi. il secondo problema è che non tutte le traduzioni sono fedelissime all’originale».
In Italia periodicamente si ridiscute dell’importanza di studiare il latino a scuola. Secondo lei, studiare il latino a scuola ha un senso, soprattutto visto che non è una lingua parlata oggi?
«La lingua latina non ha mai smesso di essere una lingua parlata: basta consultare Youtube, per esempio, per verificare questa mia affermazione. È sempre esistita una corrente entusiasta, tra gli studiosi delle lingue classiche, che si esprimevano in questa lingua. Anche nell’ambito della liturgia cattolica questa lingua non è mai stata abbandonata del tutto. Imparare la lingua latina è innanzitutto un valore aggiunto alla crescita personale, perché apre il contatto diretto con gli scritti antichi e la conoscenza di questi testi aiuta la persona a riscoprire che gli ideali e le virtù dell’umanità sono perenni…».
Il manuale “Evagrius Magister” è ancora sconosciuto e non troppo comprato. Questo fatto non è dovuto al poco interesse per la lingua latina?
«In realtà è sempre più conosciuto. Viene usato per mia conoscenza in questi paesi: Italia, Spagna, Slovenia, Polonia, Stati Uniti, Brasile, Cina».
Studenti e colleghi hanno accolto bene questo libro ?
«Riguardo alle notizie che mi sono pervenute fino ad adesso, confermo una buona e numerosa accoglienza».