Chiara Monaldi è una giovane cantautrice della scena romana. Nel 2016 ha pubblicato il suo EP debutto, intitolato Una settimana difficile, dove parla di drammi post-adolescenziali e dei vent’anni visti, così affascinanti ma allo stesso tempo complicati. Il suo secondo album è più maturo e ragionato. Si intitola Futuri Qualcosa ed è uscito il 14 dicembre 2018 per Bravo Dischi. Il tema dell’album è la genesi, lo sviluppo e il declino di un amore. Queste fasi però rappresentano anche le tappe della vita stessa, vista nei suoi cambiamenti, nelle difficoltà e nella risoluzione dei problemi. Con i suoi testi Chiara cerca di arrivare al cuore delle cose, per riportarle al loro stato di verità. Così, come sono.
Cosa rappresenta per te la città di Roma?
«Roma è la città dove sono nata e ho vissuto per tutta la mia vita. Io abito ormai da due anni nel quartiere Malatesta, tra Pigneto e Tor Pignattara. Però sono nata e ho vissuto a Garbatella.
Roma è una città immensa. Al suo interno ci sono un’infinità di quartieri e spazi con storie diverse. Sento che molte di queste storie hanno influenzato la mia crescita.»
Come ha influito il trasloco sulla scrittura del nuovo disco?
«Mi sono trasferita proprio nel periodo in cui lo stavo registrando, quindi credo di aver subìto una forte influenza da questo passaggio di quartiere. Anche se è da poco che vivo in questi posti, mi sono sentita subito a casa. Questo è un quartiere dove ci sono persone che provengono da tutto il mondo, è un punto d’incontro tra diverse nazionalità. I primi mesi li ho passati nelle piazze con i miei amici a suonare con il tentativo di chiudere il disco.»
Perchè scrivi? Cosa ti suscita la musica?
«Scrivere canzoni per me è sempre stato un modo per elaborare eventi o momenti critici della vita. Da che ho memoria io canto. Ho iniziato a scrivere già da ragazzina. In seguito a un problema alle corde vocali, ho scoperto il canto come cura sia fisica che emotiva. Avevo più o meno 14 anni. Da quel momento in poi ho iniziato a studiare canto seriamente. Non ho più smesso. Man mano che andavo avanti mi sono resa conto che la forma della canzone poteva essere un mezzo espressivo, ma anche un modo per aprirsi a nuove possibilità creative.»
Cosa è per te Futuri qualcosa? Come è nata l’esigenza di questo disco?
«Il disco nasce dalla voglia di raccontare un cambiamento. La title-track Futuri Qualcosa è l’epicentro dell’intero progetto, ovvero il racconto della fine di un amore. Poi in realtà è diventato un po’ il modo per parlare del passaggio da un’età più spensierata agli anni dove le responsabilità, il futuro, le domande iniziano ad essere più ingombranti. Questo disco per me è stato una maturazione rispetto a lavori precedenti, che invece erano legati a un immaginario molto più scherzoso, giocoso e ironico. È sicuramente più serio e pensato.»
Quindi hai lavorato diversamente rispetto ai precedenti lavori?
«Credo che già a partire dal livello musicale e di produzione sia avvenuto un cambiamento. Prima mi auto-producevo, registravo tutto in casa. Il disco Futuri qualcosa invece è stato proprio un lavoro di studio, che ho fatto insieme al mio produttore artistico. Pian piano abbiamo fatto crescere tutta la struttura. Abbiamo diviso il lavoro in due tempi: da una parte scrivevo le canzoni, dall’altra ascoltavo tantissima musica. Ci siamo ispirati principalmente a dischi solisti e a tante voci femminili che sentivo importanti per me come Amy Winehouse, Nina Simone e Nico.»
Nel titolo del tuo disco c’è la parola futuro. Cosa significa per te questo termine?
«È una parola che in questo momento credo sia un po’ scomparsa dai discorsi dei miei coetanei. Sento uno schiacciamento molto grande sul presente nelle esperienze delle persone, soprattutto nel modo in cui si fiugurano i rapporti amorosi e quelli lavorativi. È tutto molto compresso sull’oggi, senza possibilità di progettare. Per me la parola futuro vuol dire progetto, che può essere di un amore quanto di un disco. Per me futuro è un po’ la possibilità di creare qualcosa oggi e vedere cosa ne nasce domani».
Come stai vivendo il post-disco?
«È stato un momento di chiusura di una fase. Dopo che lo hai pensato, lo hai scritto e arrangiato, puoi finalmente farlo sentire a qualcun altro. Ho fatto alcuni concerti a Roma, a Torino e a Napoli. Man mano che portavo il disco in giro per l’Italia, lo sentivo come qualcosa che non era più mio. Quando vedevo persone che conoscevano le canzoni e i testi, ho iniziato a sentire che era diventato qualcosa di condiviso.»
Quali sono le sfide principali di un musicista?
«Fare il musicista è una bella sfida. Io nello specifico non mi definisco solo musicista. Sono anche una psicologa e sto provando a integrare questi due lati della mia personalità. Ho trovato il modo di tenere la musica dentro le mie attività formative strutturando un metodo di insegnamento del canto connesso alla psicologia. In questo momento sto collaborando con una realtà attiva da anni, il locale Pierrot Le Fou. Facciamo musica, laboratori di canzone, ascoltiamo ventenni alle prime armi a cantautori più affermati.»
Come integri il lavoro di cantautrice con quello di psicologa?
«L’essere cantautrice o psicologa non sono cose distinte. Per scrivere ho attinto a varie esperienze relazionali. Comporre mi ha aiutato a dare vita a delle emozioni che non sapevo bene dove mettere. Questa cosa, facendola in prima persona come esperienza su di me, mi ha poi fatto pensare che potesse essere uno strumento molto importante di intervento sulle persone che ho accanto. Tutti i giorni lavoro come insergnante di canto. Sento che la mia funzione non riguarda solo la tecnica, di come si scrive una canzone, ma aiuto i ragazzi a capire di cosa vogliono parlare nei loro testi.»
Cosa significa essere artista e donna nel panorama musicale oggi in Italia?
«Non è facile. Per me il problema di fondo sta negli anni in cui si struttura la competenza artistica e musicale. C’è una disparità evidente, però è inutile verificare il problema in uscita. Questo è un meccanismo che parte dalla base. Credo sia un problema che vada preso all’origine.»
Secondo te come si può far emergere il problema?
«Ritengo che sia utile promuovere e sostenere tutti i progetti interessanti di queste ragazze. In generale il mio sogno sarebbe quello di lavorare affinché sempre più donne riescano ad emergere con competenza. L’ho fatto anche in passato. Qualche anno fa organizzavo appositamente una serata dove invitavo una volta al mese una cantautrice e una artista a cantare. Inoltre mi occupo di formazione quindi spesso quando delle ragazze vengono da me le incoraggio a scrivere e a mostrarmi i loro pezzi.»