Siamo a martedì 26 novembre 2019 e le fake news continuano a martellare le teste come manganelli pronti a reprimere le nostre idee, i nostri sogni.
Le strade cilene si tingono di un rosso acceso, un fiume di sofferenza e rabbia repressa. Un rosso isolato, un colore di ribellione che presto scema in uno stato di orrore. Centinaia di persone spariscono nel nulla, dopo gli interventi della polizia, altre vengono ferite e più di settemila arrestate. La tortura e i carri armati tornano ad aleggiare per le strade, muniti di violenza e terrore. Uno schiaffo in pieno volto a chi da secoli promuove l’integrità della Costituzione e la salvaguardia dei diritti umani.
I blog internazionali sembrano alzare la voce, dicono di essere vicini al popolo cileno, ma la domanda spontanea che sorge è: quanti conoscono i reali motivi della ribellione scoppiata in Cile?
Pochi sanno che i cittadini chiedono da tempo le dimissioni del presidente Sebastian Piñera, il cui consenso è ormai calato al 14%. Pochi conoscono il triste dato economico del Cile, considerato come uno dei paesi più ricchi dell’America Latina, ma avvolto da uno squilibrio interno sconcertante tra benestanti e poveri.
Un welfare fantasma, un sistema dei trasporti troppo costoso, uniti ad un’istruzione e a un sistema sanitario esclusivamente privati, hanno portato i cittadini a dire basta, a ricordare che i diritti esistono per essere rispettati, non solo osservati.
La risposta del governo è stata una, il ritorno ai pattugliamenti delle strade e per chiudere in bellezza l’utilizzo dei carroarmati, che nelle città non si vedevano dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet – 1973/1990 -. (Leggi anche Wired per scoprire approfondimenti ulteriori sulla tematica).
Per settimane nel nostro Occidente regna il silenzio. I media hanno altro a cui pensare, ciò che succede in continenti “così lontani” non può essere oggetto di discussione o dibattito, tuttavia basta un tragico evento, apparentemente legato alle proteste, per far drizzare immediatamente le antenne.
Daniela Carrasco, detta “El Mimo” artista di strada di appena 36 anni, viene trovata impiccata per le strade cilene lo scorso 20 ottobre. Le prime indagini parlano di un sequestro da parte degli agenti di polizia locali, i quali durante il caos delle manifestazioni, interrogano, violentano e uccidono la donna, impiccandola in strada con il pretesto di mostrare ai cittadini che cosa possa succedere ai manifestanti.In poche ore e settimane la povera donna finisce in ogni trasmissione o canale web. Diventa il simbolo di una vicenda che pochi giorni prima nessuno aveva voglia di approfondire. Il suo viso dolce, truccato da clown con un simpatico, quanto tenero, nasino rosso, finisce ovunque.
Carrasco diventa un’icona, un nuovo simbolo, ma per i suoi genitori la cosa è inaccettabile.
Così, mentre il mondo del web e dei media si lancia su qualsiasi contenuto inerente alla giovane, i due coniugi Carrasco, nonostante il gran dolore, lavorano nell’ombra con le avvocate di fiducia e i pm. L’obiettivo è sapere, conoscere la verità.
Secondo il Fatto quotidiano e Avvenire, la chiave di svolta diventa immediatamente duplice; se in primis gli esami avessero testimoniato che la ragazza non avesse segni di tortura e di violenza, il ritrovamento di una lettera scritta da Daniela stessa, ha chiuso ogni dubbio.
Daniela Carrasco è morta suicida. Un’altra fitta di dolore immensa per i genitori, non dovuto soltanto dal triste gesto della figlia, ma dalla grande speculazione dei media intorno alla sua figura.
Una rivelazione shock. L’ennesimo tentativo di spettacolizzare scenari difficili, situazioni complesse. Daniela Carrasco e tutti i cittadini cileni meritano rispetto, hanno bisogno di verità, spesso non dette.
Raccontare è uno strumento decisivo per la comunicazione sociale; inventare, riformulare per cercare lo share e fomentare opinione pubblica non necessaria, risulta essere un misero meccanismo volto esclusivamente a generare “prostituzione intellettuale” comune.