Il tumore al polmone è una realtà purtroppo ancora sottovalutata in Italia; ad oggi, una percentuale limitata dei casi viene diagnosticata in stadio iniziale o in stadio localmente avanzato: nel primo caso i pazienti sono potenzialmente candidati all’intervento chirurgico, eventualmente seguito da chemioterapia allo scopo di ridurre il rischio di recidiva; nel secondo caso, invece, il trattamento si basa sull’impiego di chemioterapia, radioterapia ed, eventualmente, al loro completamento, immunoterapia.
Ma cosa pensano le famiglie con un paziente oncologico in casa? A testimoniare la sua esperienza è Giorgia N., il cui padre è uno dei tanti malati oncologici polmonari in Italia.
Come vi siete accorti della malattia di suo padre?
«È iniziato tutto ai primi di settembre, quando mio padre si è sentito male: purtroppo ha avuto un mancamento. Non sapevamo cosa fare all’inizio, a che cosa fosse dovuto. Inizialmente, gli era stato detto che era dipeso da una bronchite acuta, poi sono stati fatti altri accertamenti e ci siamo resi conto che effettivamente non era una bronchite, ma un tumore al polmone, precisamente tra l’inizio del polmone sinistro e la trachea».
Come avete reagito quando avete scoperto che non era una semplice bronchite?
«All’inizio non sapevamo cosa fare e cosa dire, ci sembrava di essere quasi in un sogno, perché è stata una bella batosta, che all’inizio abbiamo vissuto senza razionalizzare, per poi prendere la situazione con più tranquillità, se così si può dire. Ci siamo affidati alla fede e alla scienza; i tumori sono sempre piu frequenti ed è difficile combatterli, soprattutto se un paziente oncologico si ritrova al quarto stadio, quindi con una situazione piuttosto critica, però pensiamo che se ci sono farmaci, cure apposite, forse la situazione può essere comunque presa in tempo».
Adesso da neolaureata, come mai ha deciso di continuare il suo percorso accademico, nonostante questo sia un evento che, nella maggior parte dei casi, blocca la persona?
«Io ho deciso di continuare il mio percorso accademico principalmente per mio padre, infatti la prima cosa che mi ha detto appena abbiamo scoperto il tumore è stata: “Non smettere di studiare, perché hai tutte le capacità per poterlo fare; hai intrapreso questo percorso già da tre anni, quindi è giusto che tu continui i tuoi studi, che non lasci l’università, e che non ti annulli, perché la vita continua nonostante questa cosa, e le problematiche nel corso della vita vanno affrontate”. All’inizio è stato piuttosto difficile ricominciare il percorso di studi, però forse, oggi, devo anche ringraziare mio padre, perché alla fine il mio sogno è quello di portare avanti gli studi e di laurearmi per la seconda volta».
Come tutte le persone che hanno un malato oncologico in casa, oltre a farvi forza a vicenda in famiglia, c’è stato qualcosa che vi ha spinto a vedere del bene in questa tragedia, a vedere un minimo di speranza?
«Ad oggi, la cosa che ci sta dando forza, che ci consente di andare avanti e ci da una speranza, è sicuramente la fede; noi siamo molto religiosi, abbiamo molti amici che stanno vicino a mio padre e pregano per lui. Ultimamente, quando mio padre ha avuto l’ultimo controllo, gli è stato detto che è stato miracolato. Questo ha fortificato molto la fede che è in noi; io credo vivamente che lassù ci sia Qualcuno che ci protegge, e che, forse, mio padre potrà un giorno raccontare tutta questa brutta esperienza che sta vivendo oggi. Me lo auguro, ma non ci buttiamo giù, continuiamo comunque ad andare avanti, a farci forza a vicenda, affinchè mio padre possa un domani continuare la vita che ha fatto fino ad ora».