
La Repubblica Democratica del Congo (RDC), con una superficie di 2.345.410 km², è otto volte più grande dell’Italia e confina con ben 9 stati diversi. Oltre ad avere una grande importanza geografica ed economica, è anche un Paese profondamente cristiano: oltre il 90% della popolazione si identifica con il cristianesimo, tra cattolici e protestanti. La fede ha sempre giocato un ruolo centrale nella vita del popolo congolese, offrendo speranza in mezzo alla sofferenza. Chiese e comunità religiose sono spesso in prima linea nell’assistenza agli sfollati e nel richiamo alla pace e alla giustizia.
Purtroppo però è anche una terra ricchissima di risorse naturali inestimabili: coltan, cobalto, oro, diamanti, tungsteno, rame. Questi minerali strategici suscitano la brama delle multinazionali e dei Paesi vicini, come il Ruanda.
Non una, ma tre guerre
La guerra nella RDC non è iniziata ieri. Dagli anni ’90, l’est del Congo è diventato un campo di battaglia per molteplici gruppi armati. Il conflitto ha avuto una escalation dopo il genocidio in Ruanda (1994), che ha spinto quasi 2 milioni di rifugiati nel Kivu. È proprio da lì che sono scaturite le guerre.
La Prima Guerra del Congo (1996-1997): Laurent-Désiré Kabila rovescia Mobutu e diventa presidente. La Seconda Guerra del Congo (1998-2003), nota come “la Grande Guerra d’Africa”, coinvolse direttamente nove Stati africani e causò milioni di morti. La Terza Guerra (dal 2004 a oggi): sebbene la Seconda Guerra del Congo si sia ufficialmente conclusa, la RDC continua a essere teatro di violenze e instabilità, soprattutto nell’est del Paese. Gli scontri legati allo sfruttamento illegale delle miniere hanno causato oltre 11 milioni di morti e 5 milioni di sfollati negli ultimi 30 anni.
Le cause della guerra: i minerali insanguinati
Ogni volta che indossiamo un gioiello d’oro, accendiamo il nostro smartphone o guidiamo un’auto elettrica, ci chiediamo mai quale sia il vero costo di questi oggetti? Nell’est della RDC, bambini e adulti scavano nelle miniere in condizioni disumane, sorvegliati da uomini armati. Mentre il mondo avanza con queste risorse, il Congo continua a sprofondare nella guerra e nella miseria.
Una delle principali cause della guerra nella RDC è infatti la competizione geopolitica e il controllo delle risorse naturali. Sebbene i media descrivano il conflitto come una guerra etnica, la realtà è ben diversa: la ricchezza mineraria del Paese è al centro delle tensioni. Per oltre trent’anni, le divisioni etniche sono state strumentalizzate per mascherare gli interessi economici e politici che alimentano l’instabilità.
Diversi rapporti delle Nazioni Unite hanno accusato il Ruanda di sostenere gruppi armati come il Movimento (M23), che controlla le regioni minerarie strategiche nell’Est della RDC. Il Ruanda fornisce infatti addestramento, armi e supporto logistico a questi gruppi per destabilizzare l’est della RDC e trarre profitto dal commercio illegale. L’M23 e altre milizie contrabbandano minerali, che in Ruanda vengono ripuliti e venduti come prodotti ruandesi. Obiettivo del Ruanda è controllare le ricchezze della RDC e rafforzare la propria influenza geopolitica, mentre il commercio di armi, provenienti dall’estero, perpetua la violenza nella regione. Ricordiamo che in tutto il continente africano non esiste un’industria che produce armi da guerra.
Le tensioni etniche nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) vengono spesso presentate come la causa principale del conflitto, ma in realtà la diversità etnica è stata manipolata e strumentalizzata da attori politici, gruppi armati e interessi stranieri che cercano di controllare la vasta ricchezza naturale del paese.
Da parte sua, l’Unione Europea aveva firmato il 19 febbraio 2024 un accordo con il Ruanda per l’approvvigionamento di materie prime critiche, ma lo ha annullato dopo aver scoperto che il Paese sfruttava minerali provenienti dalla RDC. Il 17 marzo 2025, ha imposto sanzioni a nove persone e a una raffineria d’oro legati al Ruanda e all’M23, accusati di traffico illegale di risorse congolesi.
Il costo umano della guerra
Per milioni di persone nella RDC, la guerra è una lotta quotidiana che coinvolge ogni aspetto della vita. Nelle province orientali, in particolare nel Nord e nel Sud Kivu, non è un’eruzione occasionale di violenza; è uno stato permanente di esistenza.
Per le persone guerra significa spostamenti continui, fame, paura e violenza, ma queste parole da sole non riescono a catturare la profondità completa della sofferenza sopportata dalla popolazione. Per molti congolesi, la casa non è mai un luogo permanente. Le famiglie sono costrette a fuggire più volte, mentre i gruppi armati attaccano i villaggi, saccheggiano i beni e bruciano le case. Alcuni camminano per giorni per raggiungere i campi, portando solo ciò che riescono. Altri non ce la fanno, colpiti dai colpi incrociati o uccisi lungo il cammino. Anche nei campi di sfollati, la sicurezza non è garantita.
Nelle zone di guerra, l’agricoltura crolla. I contadini non possono seminare, per paura di essere uccisi, e i mercati vengono distrutti o isolati dai combattimenti in corso. Di conseguenza, il cibo diventa scarso e i prezzi salgono alle stelle, rendendo la sopravvivenza ancora più difficile. Molte famiglie passano giorni senza mangiare, sopravvivendo solo grazie a piante selvatiche o alle razioni alimentari delle organizzazioni umanitarie, se e quando arrivano.
Il governo congolese di fronte alla guerra
Il governo della Repubblica Democratica del Congo si trova in una posizione estremamente difficile. Da un lato, deve affrontare gruppi ribelli ben armati e organizzati, come l’M23. Dall’altro, si trova a dover gestire una crisi umanitaria di proporzioni enormi, con milioni di sfollati e una popolazione stremata dalla violenza e dall’insicurezza. Questi i punti critici che si trova ad affrontare:
- Mancanza di una risposta militare efficace. Nonostante il potenziamento delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), il governo fatica a contenere l’avanzata dei gruppi ribelli. Le offensive dell’esercito spesso si rivelano inefficaci, mentre il controllo delle città strategiche come Goma e Bukavu diventa sempre più precario.
- Dipendenza dagli alleati esterni. Per cercare di arginare l’M23, la RDC ha fatto appello al supporto di Paesi alleati come l’Angola e il Sudafrica. Tuttavia, la risposta internazionale si è dimostrata lenta e non sempre risolutiva. La forza regionale dell’East African Community (EAC), inviata per stabilizzare la situazione, si è rivelata inefficace, mentre anche la MONUSCO, la missione delle Nazioni Unite, è oggetto di forti critiche per la sua presunta passività di fronte all’aggressione.
- Problemi di governance e corruzione. Uno dei maggiori ostacoli per il governo congolese è la corruzione endemica all’interno delle sue istituzioni. Questa problematica ha gravemente limitato la capacità dello Stato di difendere il territorio. Fondi destinati alla difesa nazionale sono spesso mal gestiti o dirottati per interessi privati, e alcune accuse suggeriscono che ufficiali dell’esercito collaborino con il nemico per profitto personale. Questa situazione mina la fiducia dei cittadini nelle autorità.
- Fallimento diplomatico. Il presidente Félix Tshisekedi ha cercato di risolvere la crisi attraverso negoziati diplomatici, ma finora senza risultati concreti. Le sanzioni imposte dall’Unione Europea contro il Ruanda rappresentano un passo avanti, ma non hanno ancora fermato le azioni militari dell’M23.
- Disconnessione con la popolazione. Molti congolesi ritengono che il governo non stia facendo abbastanza per proteggere i civili. Le proteste contro la MONUSCO e le istituzioni statali si sono moltiplicate, dimostrando il crescente malcontento della popolazione, che si sente abbandonata a fronte di una guerra senza fine.
Senza una strategia militare più solida e un forte sostegno da parte della comunità internazionale, il rischio è che l’est della RDC rimanga un campo di battaglia per interessi stranieri, mentre la popolazione congolese continua a subire le conseguenze di un conflitto che sembra non avere fine.
È il momento di agire
La guerra nella RDC non è un conflitto senza volto. È la storia di milioni di vite spezzate, di bambini che crescono tra le macerie, di donne e uomini che non smettono di lottare per la pace. L’umanità non può continuare a chiudere gli occhi davanti a questa tragedia. È tempo di ascoltare il grido del popolo congolese e agire per un futuro di pace e giustizia. La pace non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto fondamentale. È tempo di porre fine a questa guerra dimenticata. La dignità del popolo congolese non deve più essere sacrificata sull’altare degli interessi economici e geopolitici.
Ma nonostante il dolore, il popolo congolese continua a resistere con una fede incrollabile. Le preghiere per la pace risuonano nelle chiese di tutto il Paese, e la speranza di un futuro migliore non si spegne. È il momento di agire, di ascoltare il grido della RDC e di lavorare insieme affinché la pace diventi finalmente realtà.