28 Mag 2019

Di che formazione hanno bisogno i sacerdoti oggi, per ricoprire il loro ruolo nelle comunità?

La Chiesa ha bisogno di sacerdoti sani, di persone normali, di uomini che sanno rapportarsi non solo con Dio ma anche con le altre persone. Per questo la formazione deve essere solida e permanente

 

In Vaticano, Padre Juan Manuel, un sacerdote colombiano che lavora nella Congregazione per il Clero, ha accettato di parlare con noi della formazione dei sacerdoti. In parole semplici, la Congregazione per il Clero è una istituzione della Santa Sede che aiuta il Santo Padre nella cura pastorale dei sacerdoti. Non si occupa di essi soltanto dal momento in cui diventano preti, ma da prima della loro ordinazione. Perciò ci sono tre grandi sezioni che appartengono a questo Dicastero: l’Ufficio Vocazioni, la Segreteria per i Seminari e il Clero. Tra le azioni più importanti promosse dalla Congregazione per il Clero c’è il discernimento delle vocazioni, prima e durante la formazione iniziale, la formazione dei formatori e la formazione continua dei presbiteri.

 

A livello mondiale, sembra esistere una crisi delle vocazioni. Come vede questo problema?

«Se parliamo semplicemente di numeri, possiamo costatare che c’è un calo delle vocazioni sacerdotali, nel senso che ogni anno sono di meno coloro che entrano in Seminario, e molto di meno ancora coloro che diventano preti, soprattutto nel continente Europeo, e anche nell’America Latina; se guardiamo i numeri, invece, a livello dell’Asia e dell’Africa, non possiamo dire la stessa cosa, giacché i livelli si mantengono o, anzi, aumentano. Ma penso che la cosa più importante non sia fermarsi al discorso della quantità, quanto piuttosto considerare la qualità della formazione sacerdotale e di ogni singolo sacerdote. Su questo aspetto, nella storia della Chiesa moltissimi presbiteri hanno dato veramente un grande esempio di santità di vita e di donazione senza riserve per il popolo di Dio a loro affidato; così come anche non sono mancati, purtroppo, alcuni casi di scandali, di abusi, di manifestazione di povertà nella testimonianza umana, cristiana e sacerdotale. Perciò, come più di una volta ha avvertito Papa Francesco, davanti all’esiguità numerica non possiamo cadere nella trappola di accogliere qualsiasi ragazzo che chiede di diventare prete, senza operare un accurato discernimento della sua vocazione, ossia trovando i segni che mostrano se si tratta di una chiamata divina o semplicemente di una “auto-chiamata”. In tutto questo siamo confortati dalla certezza che Dio non abbandona il suo popolo e continuerà sempre a chiamare e inviare i suoi sacerdoti per guidarlo e accompagnarlo».

 

Quali sono le maggiori sfide oggi nella formazione dei sacerdoti?

«Anzitutto è una sfida capitale la formazione dei formatori. Abbiamo bisogno di sacerdoti disponibili e competenti che sappiano veramente formare gli altri, con le parole e con la testimonianza. Abbiamo bisogno di sacerdoti che, in mezzo alle tante attività, non si rifiutino di “perdere tempo” ascoltando ogni singolo giovane o candidato al sacerdozio, per aiutarlo a trovare la strada giusta, quella alla quale Dio lo sta chiamando. Nell’accompagnamento personale, emergerà se la persona è chiamata al sacerdozio oppure a un’altra vocazione. La finalità è la risposta alla volontà di Dio, per fare tanto bene all’umanità, felici nella donazione della propria vita per gli altri. Abbiamo bisogno di sacerdoti, che abbiano la voglia e la capacità di accompagnare i loro confratelli sacerdoti. Infatti, nessuno è in grado di camminare da solo, anzi, il cammino del presbiterato è assai esigente e procedendo da soli rischiamo di perdere la strada, il gusto della preghiera, la fedeltà agli impegni assunti, l’umile disponibilità al servizio, eccetera, fino a perdere la vocazione a cui siamo stati chiamati».

 

Qual è, secondo lei, la formazione adeguata per i futuri sacerdoti o i sacerdoti di oggi?

«Collegando questa domanda con la precedente e approfondendo ancora di più, posso rispondere che una formazione per i sacerdoti presenti e futuri è anzitutto una formazione continua. Non possiamo smettere di formarci: nel momento in cui ci si illude di essere già arrivati alla perfezione, e di non aver più bisogno di continuare a lavorare sulla propria persona, quel giorno si inizia a perdere la strada. Sono molto importanti anche i buoni rapporti con gli altri, con il vescovo, con i confratelli e con i laici. La mancanza di capacità di portare avanti sani e buoni rapporti con gli altri è un cattivo segno e indica che, forse, tale persona non è nel luogo giusto. Un sacerdote è un uomo di relazioni, in modo tale che il suo atteggiamento diventa un ponte e non un ostacolo per portare tutti all’incontro con Gesù. Abbiamo anche bisogno di preti innamorati di Dio e del suo popolo. Un seminarista o un sacerdote chiuso in se stesso si avvelena e avvelena anche coloro che gli sono attorno. Non abbiamo bisogno di sacerdoti perfetti, però sono indispensabili sacerdoti che sappiano abbracciare le loro fragilità e integrarle nella propria personalità, lasciandosi trasformare ogni giorno dal Signore, il quale sa fare grande opere dal poco che gli uomini possono offrire. Egli, infatti, è capace di saziare la fame di una moltitudine con solo cinque pani e due pesci. Basta, insomma, che il Signore trovi un cuore generoso, disponibile, che si lascia formare, non rigido ma flessibile, e questa duttilità permette che il Signore, come un vasaio, possa trasformare l’argilla in un bel vaso».

 

Quale parte della formazione dei sacerdoti ha bisogno di aggiornamento: la formazione iniziale, quella specializzata oppure la formazione permanente?

«Tutta la formazione sacerdotale ha costantemente bisogno di aggiornamento e di rinnovamento. Quando si parla di formazione sacerdotale non si deve intendere soltanto quella vissuta in Seminario, ma anche quella vissuta prima e dopo il Seminario. Se abbiamo dei sacerdoti che continuamente si stanno rinnovando, saranno sacerdoti capaci di formare a quelli che sono in cammino. I bravi sacerdoti di una diocesi o di una congregazione religiosa serviranno da stimolo alle nuove generazioni. Di solito dietro a una vocazione sacerdotale c’è stata la buona testimonianza di un buon sacerdote. Quindi la formazione permanente aiuta quella iniziale e, a sua volta, la formazione iniziale stabilisce il fondamento di quella permanente, giacché il seminarista che finisce la formazione iniziale sa ed è capace di continuare ancora a formarsi in tutti gli ambiti: spirituale, pastorale, intellettuale e ovviamente anche umanamente».

 

Secondo il suo parere, quale stato psicologico dovrebbe avere un sacerdote per armonizzare studio, formazione e lavoro pastorale?

«La Chiesa ha bisogno di sacerdoti sani, di persone normali, di uomini che sanno rapportarsi non solo con Dio ma anche con le altre persone, che siano liberi, aperti, franchi, semplici, onesti, sinceri, trasparenti, coraggiosi, capaci di saper donare veramente la loro vita per gli altri, non soltanto con grandi opere ma anche tramite i piccoli gesti, come per esempio, saper “perdere tempo” con gli ammalati, i poveri, i bambini, i giovani; infine, essere preti profondamente umani».

 

Quale è il ruolo della formazione permanente oggi?

«Come è stato ripetuto più di una volta in questa intervista, la formazione permanente è la via per rinnovare non soltanto il cuore di ogni sacerdote, ma la Chiesa intera. Una Chiesa rinnovata ha bisogno di preti in movimento, che non si accontentano con la mediocrità e la doppia vita, ma lottano ogni giorno per rispondere con amore e fedeltà alla chiamata divina. Finisco questa intervista per incoraggiare tutti gli studenti ad approfittare di questa opportunità che Dio e la Chiesa vi ha dato, ossia di vivere un momento della vostra vita e del vostro ministero a Roma. Che gli studi che oggi frequentate vi aiutino a crescere integralmente. Dove non c’è crescita ci sarà spreco di tempo ed energie».

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