24 Mag 2017

Di notte, sulla Salaria, cercando un dialogo con le donne vittime della tratta

Noi le vediamo ai bordi della strada che si prostituiscono, ma sono vittime di un traffico internazionale che frutta alle organizzazioni criminali 150 miliardi di dollari. L'esperienza della parrocchia di San Frumenzio, a Roma

Roma, 10 maggio, sera. Questo mercoledì, come tutti i mercoledì, di ogni quindici giorni, il piccolo gruppo della Pastorale Sociale della Parrocchia San Frumenzio di Roma, anima un percorso che ha il compito di portare una parola di speranza a tutte quelle donne che sono costrette a prostituirsi presso la via Salaria.

Tale progetto è nato diciassette anni fa, grazie al grande cuore dell’ ex parroco Gianpiero Palmieri, il quale ha sempre desiderato che la sua Parrocchia fosse non solo una struttura fisica, ma una realtà che giungesse ovunque vi fosse necessità.

Questo desiderio, raccontò una volta durante una sua omelia ai fedeli, prese il via nella notte del capodanno del nuovo millennio, quando per la prima volta si ritrovò a dare conforto e speranza alle donne costrette a prostituirsi per vivere. Da questa esperienza nasce la casa della accoglienza “MAMRE”, per ospitare e riabilitare le persone che si trovano in questa situazione.

 

I volontari si ritrovano presso la chiesa, in seconda serata, con un sorriso sul volto e una fiore rosso tra le mani. Un volontario di nome Marco Palonni, insieme con il sacerdote che accompagna il gruppo, invita tutti i presenti ad iniziare con una preghiera, perché Dio possa mettere nel loro cuore e soprattutto sulle loro labbra le parole di conforto più opportune.

Il gruppo è suddiviso in tre unità, con tre autoveicoli per raggiungere quante più persone possibile. Una volta raggiunta la via Salaria, il gruppo scende dall’automobile e incontra le ragazze della strada, cominciando un dialogo. Poche sono quelle che rifiutano, perché in attesa di clienti, mentre le altre, già conosciute dagli operatori, aprono il loro cuore e raccontano la loro storia, fatta di matrimoni falliti, figli a carico e molte sofferenze. Chi lamenta problemi di salute, come è capitato questa sera, viene aiutato dagli operatori: il servizio di questo gruppo, non è solo di natura morale, ma anche materiale; vengono ascoltati tutti i tipi di bisogni.

 

Le ragazze di strada che incontriamo, hanno diverse età e situazioni particolari, ma tutte sono accomunate da un’unica esigenza: quella economica. La scelta di questo tipo di “lavoro”, infatti, è data dal fatto che in una notte riescono a guadagnare anche 200 euro, cifra che con un altro lavoro non raggiungerebbero. Ma ci sono anche casi estremi, come quello di Antonella, che ha accumulato piú di 10.000 euro per rifarsi chirurgicamente fianchi, seni e labbra. Nonostante ciò, gli operatori fanno del loro meglio, per convincerle a fare una vita diversa, per dare un futuro piú dignitoso a se stesse e ai loro figli.

Come il caso di Mari, una ragazza della Nigeria che ha avuto il coraggio di lasciare la strada e, come ella stessa testimonia, dopo tante sofferenze ha trovato la forza per ricominciare daccapo anche grazie all’aiuto delle suore.

 

Suor Eugenia, ad esempio, é una missionaria della Consolata, donna dal volto buono e di grande determinazione, che combatte contro gli interessi economici della tratta delle schiave della strada. Come lei racconta: “essendo missionarie, siamo sempre in prima linea”. In dieci anni ha aiutato circa 5.000 donne ad uscire da questo problema, che è uno dei tre grandi business a livello mondiale e vale circa 32.000 miliardi di dollari. «Parliamo di violenza perché le donne sono vittime di una compravendita, sono vendute, sono comprate, e questa è l´umiliazione più forte, più grande, che una donna possa subire».

Aiutiamo queste donne a recuperare la loro identità, la loro dignità, la loro libertà, andandole a incontrare anche sulla strada, lì dove sono lasciate dai trafficanti di vite umane o dalle madame. Queste donne sono obbligate a vendere, quello che hanno di più caro, di più bello: la loro giovinezza, la loro identità, la loro bellezza interiore, la loro vita, il loro desiderio di essere madri e di essere donne.

Suor Eugenia coordina una rete mondiale di suore, un esercito, di 250 suore, che lavorano per una cultura nuova, fatta di rispetto, di dignità, di uguaglianza. Il suo progetto è nato a Torino, una notte dove una donna le ha gridato: «sister please, help me». Rispose suor Eugenia: «Io le vedevo sulla strada, anche io le ho giudicate, perché credevo che erano lì solo per piacere o per soldi. Ma non è cosi, dietro tutto questo c’è una mafia, che porta queste donne in Europa con la promessa di un lavoro, che poi non c’è e c’è invece la costrizione a prostituirsi, anche sotto l´effetto di terribili riti vudu o sotto minacce di morte alla propria famiglia di origine».

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