26 Set 2014

Diario di viaggio: Destinazione Mozambico. Quattro

Un viaggio di quindici giorni a Mafuiane, un villaggio del Mozambico, nel continente africano. Cronaca di una volontaria con il mal d'Africa

Sveglia alle 5.15.

Il cielo è già turchese Tiffany, per dirlo con l’immaginario della “ragazza-europea-audreyana-nella-media”. Pensavo di avere più fantasia nel descrivere la natura immensa e meravigliosa che vedo dalla finestra del bagno, ma perdonate l’ora, sto ancora dormendo e sono senza la mia dose quotidiana di caffè espresso italiano, una parentesi mondana ci sta. L’alternativa che mi ronza in testa è paragonare il risveglio alla pubblicità irreale delle gocciole, quindi accontentatevi.

Doccia fredda, freddissima: ieri notte è saltata la corrente, e non abbiamo l’acqua calda.
Dopo i primi cinque minuti di fumo che esce dalle orecchie mi rassereno all’idea che “l’acqua fredda fa bene alle vene e al carattere e renda tonica la pancetta mal nascosta sotto il pigiama,” fino a quando, davanti allo specchio mezzo rotto del bagno, mi accorgo di parlare a me stessa come se fossi mia nonna in tempo di guerra e rassegnata mi getto a picco nel ghiaccio polare.

La verità è che l’acqua calda per me è routine, e qui faccio fatica a considerarla un optional. Fucilatemi, ma l’abitudine è dura a morire. Meno male che il cielo mi fa compagnia, ed al posto dei diamanti mette in vetrina un delizioso venticello gelido che si appiccica al volto ancora assonnato.

Siamo in tre a condividere questo gelido risveglio, più due abitanti del posto che ci accompagnano. Saliamo sulla stessa carretta del giorno prima, spazzata con cura da Amone, l’autista, che ricorderò per sempre per l’enorme sorriso stampato in faccia, un sorriso che non va via nemmeno davanti alla morte (ma questa è un’altra storia). Cumuli di polvere e terra rossa escono dal camioncino come fuochi d’artificio mentre noi saliamo dietro, coperti a malapena da un telo bucherellato come tettuccio.

Stamattina sarà una di quelle giornate che rimangono impresse per sempre dentro di me. Solo che ancora non lo so di preciso. Ci siamo svegliati così presto per andare a prendere i bambini piccolissimi nelle campagne e nei villaggi vicini per portarli all’asilo, un’avventura che rifarei mille volte nella mia vita.

E’ molto importante per i bambini andare all’asilo: i villaggi di campagna vicini a Maputo ancora non hanno compreso bene l’importanza della scolarizzazione per i bambini, e l’asilo non è un’istituzione anche statale come in Italia, ma un’iniziativa di parrocchie e centri privati che cercano di abituare le famiglie a lasciare che i bambini vengano istruiti.

Andare all’asilo per loro significa avere una possibilità di andare dopo a scuola, e sfuggire così a lavori domestici per le bambine e lavori manuali per i maschietti, lavori che un bambino dovrebbe fare soltanto una volta cresciuto e che invece, purtroppo, qui sono normalità.

La carretta comincia il suo viaggio, e ci mette un attimo a diventare stracolmo di piccoletti mocciolosi che ti squadrano con gli occhioni grandi, ti toccano i capelli, ti afferrano le mani per vedere se quelle cose bianchicce e biondastre che vedono sono reali. Mi scappa un sorriso quando un visino di appena tre anni si nasconde tra le mie ginocchia, una bimba impaurita dal fatto che mi sono sciolta i capelli per rifarmi la coda. Un drago? Un mostro malefico? Una liana magica che ti stritola? Chissà cosa avrà pensato nella sua fantasia… La prendo in braccio e si rasserena. Ha capito: sono una principessa come lei, un pò cresciuta, che per oggi condivide la sua stessa carrozza.

Gli altri bambini cominciano a cantilenare “molongo, molongo”, che nella loro lingua significa uomo bianco, ed ha un senso dispregiativo. Non me la prendo, alla fine non lo fanno con cattiveria, avranno sentito da qualche fratellino più grande questa parola e la riutilizzano così, senza malizia. Vorrei avere i loro occhi curiosi e pieni di vita, li porto via con me, un souvenir di viaggio al profumo di memento mori. Il viaggio continua.

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