Le braccia aperte e la curiosità dei bambini di strada ci accolgono appena arrivati a Mafuiane.
Scarichiamo le valigie, cercando di rimanere incuranti di fronte ai mille occhi che ci osservano. Macchie bianche in un oceano nero.
Sulla mia pelle scivola una sensazione che non avevo mai provato prima: sono l’intrusa, una mozzarella circondata da tanto cioccolato fondente. Siamo noi la novità, l’elemento discontinuo che porta sorpresa per il colore della pelle.
Adesso capisco cosa può provare un africano in visita a Roma. Sei il diverso, quello da squadrare, quello che studi per le reazioni che può avere, cercando di capire se in fondo siete così diversi o è solo un inganno della vista, dietro la sostanza non cambia.
Ma i sorrisi che vedo dietro quelle braccia protese in un ciao, quei sorrisi che da noi si pagano cari perché introvabili, quei sorrisi mi fanno sorridere. Siamo i diversi, ma va tutto bene. Un bambino scappa dalle braccia della madre e mi corre incontro abbracciandomi. Abbiamo lo stesso battito, e solo questo gli importa. Sorrido con il cuore pieno.
Ci fanno strada verso la vivenda, una costruzione che chiamerò per quindici giorni casa. Rispetto a quello che ho osservato in giro prima di arrivare lì, mi sembra una reggia.
Ci sono stanze con letti a castello, una cucina, bagni a volontà, acqua corrente ed elettricità, tutte cose che ho imparato, in questo periodo, a non dare per scontato. Sistemo la mia valigia, mentre la stanchezza del viaggio si fa sentire.
Spunta fuori il mio libro preferito ed un giocattolo che avevo portato per regalarlo: domattina ci penserò. Ho visto che i bambini per strada giocavano con tappi di plastica, facendoli rotolare finché i più piccoli non se li portavano alla bocca mordicchiandoli, ed allora cominciava il vero gioco, distoglierli da quella preda avvincente. Domani mi farò spiegare meglio come si gioca qui, come si vive, come si sogna. Adesso tocca a me a dormire…e sognare un po’.