Roma, Via Anastasio II. In un negozio, dietro il bancone, un cartello si rivolge ai clienti: «Benvenuti. Tutti ci portano un po’ di gioia. Qualcuno entrando. Qualcuno uscendo». Così realizziamo che, oltre ai falsi magri, esistono i falsi accoglienti: quelli che, dando il benvenuto a uno, danno il malvenuto a un altro.
Forse, come s’usa dire oggi, sono soltanto dei diversamente accoglienti. Dicendo “falsi” rischiamo di offenderli e di farci dire che siamo dei diversamente
educati. Restiamo ammirati di ciò che riesce a inventare il linguaggio diplomatico. Che massacra con eleganza e fa sentire inferiore chi usa ancora un linguaggio schietto, diretto, non mascherato.
Ci dispiacerebbe, però, se l’eleganza diventasse un valore più importante dell’accoglienza. E se lo diventasse pure la professionalità, in nome della quale si è persino disposti ad ammirare un killer che fa bene il proprio lavoro: con stile, senza errori, senza far rumore, senza sporcare.
Intanto lasciamo estinguere l’accoglienza e non ci scandalizziamo se i pochi accoglienti rimasti vengono presi per stupidi. Non ci stiamo forse abituando a vivere perennemente in guardia, educando anche i bambini a farsi belve, perché «più te fai pecora e più il lupo te se magna»?
Tornando a casa, in Via dei Savorelli vediamo un frigorifero di notevoli dimensioni abbandonato accanto ai cassonetti dell’immondizia. «No, non si fa», pensiamo, poi – andando più vicini – ci accorgiamo che qualcuno ha attaccato al frigo due fogli uguali, in due punti differenti, perché fosse ben chiaro il messaggio: «Bastardo e criminale. Che il nuovo frigo ti vada a fuoco». Più schietto di così… Resta la sensazione che, al di là del linguaggio, il problema vero sia quello della cattiveria crescente. Che ci sta contagiando tutti, come un virus mortale.