Capacità, opportunità, coraggio. Sono solo alcuni degli aspetti che fanno di un fotografo un grande fotogiornalista. Burhan Ozbilici, fotoreporter turco dell’Associated Press, possiede tutte queste qualità e ha saputo metterle in gioco al momento giusto. È lui il vincitore dell’edizione 2017 del World Press Photo, con il suo scatto “Un assassinio in Turchia”, destinato ad entrare nella storia: un uomo, Mevlüt Mert Altıntaş, ha appena ucciso l’ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov. È vestito in smoking e ha una pistola nella mano destra, mentre la sinistra indica il cielo al grido di “Allahu akbar”; alle sue spalle c’è l’uomo a cui ha appena sparato, disteso a terra. Il fotografo ha documentato i momenti precedenti e successivi all’attentato di Ankara del 19 dicembre 2016, offrendo scatti di straordinaria intensità. La sua serie di foto ha vinto anche il premio nella categoria “Spot news – storie”.
Ha vinto una foto che mostra violenza, ma al tempo stesso documenta. E l’opinione pubblica si è già spaccata su due posizioni ben delineate: da una parte c’è chi si associa al pensiero di Stuart Franklin, fotografo Magnum e presidente della giuria del World Press Photo, dispiaciuto perché convinto che con la scelta di una foto violenta – anziché di una che ispirasse il cambiamento – sia stata fatta solamente pubblicità al martirio terrorista. Mary F. Calvert invece, fotografa anche lei nella giuria, si è dichiarata soddisfatta, spiegando come Ozbilici ha avuto il merito di realizzare un’immagine esplosiva che parlasse davvero dell’odio dei nostri tempi. Insomma, i grandi fotografi si sono divisi. «Questo scatto è un grande esempio di fotogiornalismo – ha raccontato a young4young.com Tommaso Sardelli, docente di Teorie e Tecniche dell’Immagine nella Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Pontificia Salesiana – Il fotografo in pochissimi secondi ha documentato ciò che stava accadendo, con una prontezza straordinaria. Aveva davanti a sé un assassino, ma è rimasto lucido e ha scattato congelando quell’istante».
Sardelli crede sia stato giusto dare il premio a Ozbilici e ci spiega la sua posizione nel dibattito in corso: «Franklin dice due cose. La prima, su cui non sono completamente d’accordo, è che questa foto possa essere una cassa di risonanza per il terrorismo. La stampa ormai non ha più il monopolio della diffusione di questo tipo di immagini. I gruppi terroristici sanno bene come diffondere le immagini d’odio e utilizzano già i loro siti e i social network. E poi questa foto era già stata pubblicata da tutti i giornali del mondo, quindi l’effetto “cassa di risonanza” di cui parla Franklin è decisamente depotenziato. L’altra aspetto che sottolinea Franklin, sulla quale sono invece più d’accordo, è che questa immagine non apre a ulteriori approfondimenti. È un’immagine fredda come il suo set, perfetta stilisticamente, ma è statica e di certo non racconta il cambiamento».
L’edizione del 2016 premiò tutt’altra foto: un papà siriano che di notte passa il figlioletto tra il filo spinato, al confine tra Serbia e Ungheria. Quali differenze? «La foto che ha vinto lo scorso anno è “aperta”, empatica, attiva e “calda” rispetto a quella di Ozbilici – argomenta il professor Sardelli – Raccontava un evento tragico come il fenomeno dell’immigrazione di massa di oltre un milione di rifugiati siriani, ma con un fotogramma di speranza che apre prospettive e interrogativi sulla tematica, sottolineando anche il lato umano. “Un assassinio in Turchia” è invece una foto di cronaca, che andava fatta e andava pubblicata. Sbaglia chi dice il contrario, ma si tratta di una foto “definitiva”, statuaria e quindi immobile e immutabile. È da manuale del fotogiornalismo, anche se fa sicuramente riflettere di meno». Tante le categorie che hanno assegnato un premi attualità, daily life, general news, natura, persone, ritratti, arte, sport, spot news. Le immagini vincitrici faranno parte di una mostra itinerante che sarà esposta in 45 paesi. A Roma si terrà al Palazzo delle esposizioni, dal 28 aprile al 28 maggio 2017.