Una vittoria che pare avere molti padri, cioè molte origini, alcune prioritarie ma altre per nulla secondarie. Importanti per capire perché e come è nata la straordinaria vittoria di Donald Trump e del suo staff alle scorse elezioni presidenziali statunitensi. Ma possono essere stati due gadget politici, entrambi raffiguranti Donald Trump, profezia della sua rielezione?
È la domanda con la quale Marco Damilano – giornalista e conduttore de Il cavallo e la torre (Rai3) – ha aperto provocatoriamente, martedì 12 novembre, l’incontro con gli studenti del corso di Comunicazione Politica della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale, mostrando i due oggetti che, con intuito da cronista, decise di acquistare precedentemente ai risultati elettorali del 5 novembre 2024.
I gadget di Trump: il passaggio dalla politica all’immaginario popolare
Il primo gadget: una penna, proveniente dallo Stato dell’Arizona. Rappresenta Donald Trump che tira pugni e con voce meccanica sgrana slogan caratterizzanti il movimento MAGA. Il secondo gadget: una statuetta del presepe, proveniente dagli artisti del presepe di Napoli. Raffigura nuovamente Trump, con un orecchio sanguinante, a voler richiamare l’attentato del 13 luglio 2024. Due luoghi molto lontani – Arizona e Napoli -, che hanno ugualmente prodotto due oggetti rappresentativi non solo di una forte cultura popolare, ma anche dello sfondamento – da parte del già 45esimo presidente degli Stati Uniti – del tetto della politica, per entrare nella dimensione dell’immaginario popolare.
La risposta alla domanda è, dunque, sì. Lo dimostrano i risultati delle elezioni, che vedono Donald Trump vincitore non solo del voto dei Grandi Elettori, ma anche del voto popolare. Non accadeva, per i Repubblicani, dal 2004, con George W. Bush.
Sondaggisti, polarizzazione e populismo: perché la realtà ci appare così confusa?
Tale risvolto, ricorda Damilano, si colloca in modo differente rispetto ai risultati che portarono alla prima elezione di Trump, quando il voto popolare era stato categorizzato come eccezionale e imprevedibile. Se la successiva elezione di Biden del 2020 sembrava aver chiuso una parentesi caratterizzata da un diffuso sentimento di rabbia, con le recenti elezioni appare chiaro come questa dinamica politica sia divenuta sistema.
Fondamentale, insieme al concetto della rabbia, la forte polarizzazione e radicalizzazione che caratterizza ad oggi il panorama politico americano.
Gender gap: voto delle donne e un modello politico di “bro-culture”
Dato importante nell’analisi delle recenti elezioni, e sul quale Damilano ha posto un particolare accento, il voto dei giovani maschi bianchi, tra i 18 e i 29 anni, i quali hanno proteso massicciamente il loro consenso verso Donald Trump. A spostare gran parte del voto, un forte senso di insicurezza economico-identitaria post-Covid, che caratterizza proprio questa fascia elettorale. Sono proprio i maschi bianchi a trovare in una promessa di ripristino dei valori patriarcali – impugnata proprio da Donald Trump – un senso di rinnovata salvaguardia.
Similmente, J.D. Vance, nel suo Elegia Americana, racconta l’uomo provinciale, assediato da figure molto più competenti e istruite di lui – come Barack Obama – e che avverte di conseguenza il bisogno di proteggersi da paragoni di tal genere. (vedi la bro-cultre, divenuta sistema in una campagna politica permanente e modo di stare rispetto alla politica internazionale).
Elon Musk è il reale vincitore di queste elezioni?
Elon Musk è l’imprenditore che ha investito 119 milioni di dollari per la campagna elettorale di Donald Trump, e che ha raddoppiato, nell’ultimo mese, i post in favore del candidato in X, social simbolo dell’incrocio di una figura che è privata, ma che punta a diventare istituzionale. Damilano ha qui sottolineato come la privatizzazione di un pezzo di spazio sia luogo e immaginario di questo tentativo di assunzione di ruoli di leadership per il paese.
Porre particolare attenzione, in questo senso, su due programmi: il Project 2025 (non ufficialmente abbracciato da Donald Trump, ma concepito all’interno dei think tank che compongono la sua campagna elettorale); e il D.O.G.E. (il nuovo Department of Government Efficiency, incarico che Musk rivendica per sé in una forma digicratica), cioè il digitale che diviene istituzione, svuotando le stesse istituzioni del loro senso democratico.
E dunque che ne sarà della democrazia?
Damilano, rispondendo alle domande, ha spiegato agli studenti come si possa vivere il voto americano comunque come una sorta di “trionfo” della democrazia. Che funziona a dispetto di previsioni e interessi di parte. Questa, però, non si può esaurire nel momento del voto, ma deve vivere tutti i giorni in maniera complessa.
In Italia il problema è, invece, di un forte astensionismo, con votazioni che hanno visto, in varie occasioni, la partecipazione di meno della metà degli aventi diritto. Come nelle ultime regionali.
Entrano qui forze che puntano sulla sfiducia e sulla fragilità della democrazia per presentarsi come soluzione: la democrazia è debole, ma io sono forte, sembrano rispondere gli autocrati, e darò risposta anche al limite superando gli ostacoli che mi impongono le istituzioni della democrazia. Questa risposta non è più un’anomalia, ma un punta a farsi sistema, punta a far diventare sistematica la sfiducia stessa.
Il desiderio di approfondire la complessità delle elezioni americane è stato punto d’avvio per una discussione più ampia in merito al forte valore che la comunicazione politica ha all’interno di un contesto democratico.
L’evento ha permesso ai presenti di dialogare sulla complessità delle elezioni americane, osservando Donald Trump non solo come uomo politico, ma inserendolo all’interno di un quadro comunicativo più articolato. La democrazia oggi – ha concluso Damilano – è una realtà che deve rapportarsi quotidianamente con il ruolo pervasivo della comunicazione, ben rappresentato dalle campagne elettorali permanenti. E con il potere delle piattaforme e il rischio di una privatizzazione dello spazio pubblico. Non a caso parte della discussione si è incentrata sulla figura di Elon Musk, esempio di una nuova commistione di interessi privati e istituzionali.