Roma,
Auditorium Parco Della Musica, sala Sinopia: si è concluso oggi il convegno di
due giorni organizzato dalla Rai per parlare del ruolo della donna nella
società. “Donna
è comunicazione”, questo il tema con cui si conclude il convegno. Questa affermazione è confermata dall’alta presenza femminile di ogni età seduta
nella sala, non supportata però da una presenza maschile adeguata.
La
sensazione è quella di essere davanti al parlamento delle donne narrato nella
commedia di Aristofane: tanta critica, tanto dibattito, ma quasi tutto in rosa.
I posti riservati nelle prime file, vuoti, si riempiono magicamente verso la
fine della discussione, quando sta per arrivare in poltrona Giorgio Napolitano.
Per quanto piccolo, questo episodio è simbolo di come le donne non siano
considerate ai vertici, e questo vale anche per gli ambienti di tipo
comunicativo, come la stampa, la radio, la televisione. Ci consoliamo pensando
che il fumo di una vecchia auto scoppiata davanti all’auditorium sia stata la
causa di questa presenza maschile fortemente bassa.
Secondo
la psicologa comportamentale Diane Mcguinness, che si è occupata di una grande quantità
di studi sulle differenze cognitive, le donne sentono molto meglio il suono
rispetto ai maschi, mentre i maschi vedono molto meglio delle donne. Una
società digitale come la nostra ha ampliato i sensi. Il ruolo del tatto è
diventato di importanza fondamentale per la sua componente emotiva, che spinge
a non rimanere distanti da un’opera, da un concetto, una cosa che ci piace e
che abbiamo visto sul web, ma a renderci ancora più partecipi di questa
esperienza: sperimentiamo il bisogno attraverso il tatto di entrare dentro
l’informazione.
Le donne sono più capaci di stare in gruppo e
dialogare, ma non riescono ancora a sfruttare a pieno questa capacità sul web.
Esiste una notevole differenza sensoriale di approccio ai media, divisa in tre
periodi: nel primo la radio si fa portavoce del femminismo: arrivano le suffragette,
abbiamo i primi momenti di conquista del voto delle donne. Il secondo periodo
vede la presenza della televisione che influenza le donne ad uscire dagli
ambienti domestici: le donne cominciano a lavorare nelle fabbriche, diventano una
forma politica di rivaricazione. Il terzo periodo è quello del femminismo degli
anni settanta: la società deve contare sulle qualità delle donne facendone uso
nel mondo del lavoro.
I
social media sono trasmettitori di idee femminili: durante la primavera araba
al Cairo, solo il 55% degli uomini scrivevano sul web, mentre le donne
organizzavano i movimenti di folla nelle strade.
Riccardo
Luna, giornalista ed ex direttore della rivista “Wired”, ha spiegato cosa
significa secondo lui innovazione: «L’innovazione è una cosa in cui le donne
hanno un ruolo fondamentale. Solo che non se ne parla abbastanza, Quando ho
proposto di utilizzare sulla nostra copertina l’immagine di Rita Levi
Montalcini, ad esempio, mi sono sentito rispondere che la copia non avrebbe
avuto successo, perché mancava un non so che di estetico. Siamo talmente
abituati alla donna come modella, manichino da utilizzare per attirare con la
sua bellezza il cliente all’acquisto, che ci dimentichiamo di quanto invece sia
importante far vedere in prima pagina quello che donne fenomenali sanno fare.
Ad esempio, la ricercatrice Irene Capo ha isolato il virus dell’aviaria: non ha
tenuto questa esperienza per sé, ma l’ha messa a disposizione del mondo perché
tutti possano servirsene come ricercatori. È doveroso condividere i dati in
rete. Serene Biffi ha aperto una scuola in Afghanistan, la Kiss academy, Angela
Morelli adesso è a Oslo ed ha sempre combattuto per diffondere nel mondo l’importanza
dell’acqua, un tema che deve far riflettere».
Come
mai nessuno di noi sente parlare di queste donne? Perché non vengono prese a
modello femminile, mentre si propone sempre un modello di donna basato sulle
esigenze di marketing, soprattutto s riviste e Tv?
«Le
donne hanno diritto di restare donne anche facendo informazione», continua Luna.
«Sapete quanto guadagnano le donne e gli uomini in Silicon Valley? I guadagni
sono quasi pari sui livelli più bassi, ma più bassi sui livelli alti di lavoro:
quando si tocca il vertice delle responsabilità, lo stipendio femminile si
abbassa. Stiamo sprecando la metà del mondo. The google choice, un progetto
nato sempre nella Silicon Valley, fornisce un milione di dollari per chi
aumenta del 25% la quota di donne nella sua azienda. Come aumentare le donne in
azienda in Italia? Mettendo le donne che lavorano e hanno famiglia in
condizioni di serenità lavorativa, ad esempio fornendo loro asili nidi. Serve più
interesse e sostegno per la ricerca scientifica nel nostro paese. Purtroppo mai
l’Italia si è resa conto della ricchezza di capitale umano che ha, e ancora
oggi non lo valorizza».
Mario
Morcellini, direttore del Coris, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale,
ha considerato l’educazione e la fruizione culturale delle donne italiane. «C’è un’Italia che cambia: le donne sono le più decise nel fuggire dall’eccesso del
mainstream. Adesso la direzione è quella del pluralismo. Nei consumi culturali
colti, le donne sono in testa. Sono interessate a teatro, cinema, musica
classica, alle visite agli scavi archeologici. C’è stata una lunga fase di
socializzazione al digitale rispetto agli anni sessanta, ad esempio, in cui si vedeva
che le donne erano in grande difficoltà rispetto agli uomini. In quegli anni erano velocissime sulla scolarizzazione, sulla ricerca, le scienze politiche
e sociali, ma non avevano poi modelli televisivi in cui riconoscersi. Per avere
uno sviluppo, basta assecondare i cambiamenti. Il servizio pubblico deve fare
da facilitatore, da narratore di storie femminili sconosciute alla maggioranza
ma quasi miracolose. Un altro modo di fare educazione è quello di usare i media
per promuovere la parità: abbiamo sempre sperato che un paese cambiasse attraverso
la scuola e l’educazione».
Dagli anni 90 le percentuali cambiano: la
scuola adesso ha cominciato a fare media
education e i risultati si vedono, la civilizzazione corre veloce. I
servizi pubblici devono seguire tutto questo.
Lorella
Zanardo, autrice del famoso documentario “Il corpo
delle donne”, ha esaminato i modelli femminili proposti dai mass media. «Quando quattro anni fa è uscito il mio documentario, sono aumentate le richieste di insegnanti e studenti che volevano
strumenti per decodificare la televisione. Questo significa che gli insegnanti
vanno formati su questi nuovi temi. Gli italiani oggi hanno un’ utenza
complessiva della tv al 98.3%, un abbandono scolastico al 17,5%, sono lettori
di quotidiani al 45.5%. La televisione deve fornire modelli alternativi di
donne, strumenti ai ragazzi per essere critici su quello che guardano, siano
programmi Rai, Mediaset o altro».
Annamaria
Testa, pubblicitaria e docente alla Bocconi, ha analizzato il ruolo dello stereotipo
nella presentazione delle donne in pubblicità. “La televisione in Italia pesa,
viene vista tanto ed è per tanti un potente strumento di informazione e formazione.
La pubblicità rappresenta solo il 12% della programmazione pubblica, il 18% di
quelle di emittenti private, ma agisce molto sull’immaginario collettivo. La
presenza femminile in televisione vede le conduttrici in maggioranza, ma sono
in minoranza quelle che hanno parola nelle discussioni informative. Le donne
sono utilizzate all’80% nelle pubblicità, ma non vengono considerate per le
loro spese nella fascia di età 40-60 anni, fascia invece più disponibile all’acquisto.
Serve una varietà dei modelli di ruolo anagrafica, ed anche dei tipi fisici: negli
spot è difficile trovare donne oltre i 50 anni a meno che non rappresentino
dentiere o cucina. I media riflettono quello che accade, ma scelgono quali elementi
riflettere e come presentarli. Nel paese reale le donne sono più consapevoli
che mai di questa situazione, le laureate sono il 60% della popolazione
femminile. Le aziende cercano di seguire o anticipare i consumatori, alimentano
le fantasie del loro management».