«È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale». Recita così l’articolo 27 del “Codice delle pari opportunità”.
Riportare l’elemento enunciativo di questo articolo non è una scelta casuale; esso è una sottolineatura di ciò che occorre ricordare con costanza, quando ogni anno l’opinione pubblica si ritrova a confrontarsi, in modo anche animato, ma pur sempre troppo retorico, sul concetto della parità di genere.
La pandemia ha stravolto il mondo del lavoro. In questo articolo, Alfonso Casciaro, tratta l’argomento della parità di genere indagando sulle differenze delle attuali condizioni lavorative di uomini e donne. https://t.co/8bmJRJKgzF via @compassunibo
— Compassunibo (@compassunibo) March 21, 2021
Donne e lavoro: i dati della pandemia
Vi sono tanti modi per ledere una persona, e non basta leggere gli spregevoli e ingiustificabili numeri dei femminicidi annuali, in Italia e nel mondo, per comprendere che molte delle campagne sulla valorizzazione della figura femminile siano ancora lontane dal vedere risultati soddisfacenti.
Vi sono molti modi per ledere una persona, c’è da ribadire, ed uno di questi è rintracciabile nelle analisi delle sue condizioni lavorative.
Il tema del gender equality è il numero 5, fra i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, o SDGs) indicati dalle Nazioni Unite, tuttavia attraverso dei dati, che il sito Eni.com riporta citando il report delle stesse Nazioni Unite, viene mostrato come l’emergenza Covid-19 ha fatto ancora più comprendere che si è ancora ben lontani dal conseguirlo.
Il “The impact of Covid-19 on women“, questo è il titolo originale del report, chiarisce che la pandemia ha amplificato le disparità esistenti, annullando, di fatto, i piccoli passi avanti realizzati negli anni precedenti.
Sempre secondo il rapporto delle Nazioni Unite, l’impatto economico del virus è stato notevole, e a soffrirne molto di più sarebbero proprio le stesse donne. I motivi? Innanzitutto ci sono molte meno donne che lavorano e il dato in questione è esplicitato da queste percentuali: il 94% degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione, contro il 63% delle donne nella medesima fascia di età. Da non sottovalutare, inoltre, che quando quest’ultime lavorano hanno uno stipendio minore.
Un ultimo aspetto da non prendere alla leggera riguarda gli aggiornati dati Eurostat sulla disparità salariale tra uomo e donna, i quali fotografano una situazione, in Europa, che vede una differenza media nello stipendio del 15%, seppure in costante diminuzione negli ultimi anni.
Non soffermiamoci solo ai dati del rapporto delle Nazioni Unite ed Eurostat e allarghiamo il raggio d’azione con una preziosa stima che ha riportato il “Sole 24 Ore”. Il quotidiano rilascia un ricco infografica (che potrete vedere cliccando il questo link), che illustra quale sono le categorie più colpite durante l’emergenza sanitaria. Si tratta in realtà di quelle che già prima della pandemia erano in forte difficoltà: giovani, stranieri e anche le stesse donne.
Il “Sole 24 Ore” riporta quindi che le donne che hanno perso il lavoro nel 2020 sono il doppio rispetto ai colleghi uomini. Il perché? Ragionando in profondità, è possibile comprendere che esse occupano spesso posizioni lavorative meno tutelate e anche perché sono impiegate nei settori che sono stati più colpiti della crisi.
Questi sono i punti su cui dovremmo riflettere di più, e c’è dell’altro proprio a riguardo.
Le donne più esposte nella lotta contro il virus
Il sito del Parlamento europeo arricchisce tutti gli elementi citati nelle righe precedenti, argomentando che delle 49 milioni di persone impiegate nel settore sanitario, ben il 76% risulta essere donna. Il più grande squilibrio nell’UE riguarda la Lettonia – qui le donne occupano l’88% della forza lavoro nel settore sanitario, rispetto al 66% dell’Italia.
Altro dato simbolico? Nell’UE, le donne occupano l’82% di tutte le persone addette alle casse (supermercati, ambulatori etc…) e il 95% delle persone impiegate nei lavori domestici e assistenziali.
Cresce così il precariato perché circa l’84% delle donne che vanno dai 15 ai 64 anni sono coinvolte spesso in impieghi che la crisi del Covid-19 ha piegato, aumentando la perdita dei posti di lavoro. Lo stesso virus attraverso le prolungate quarantene ha costretto molte donne a doversi costantemente prendersi cura di figli e parenti, combinando lo smartworking e la cura dei bambini, sempre di più in casa e lontani dai nidi o scuole.
Istruzione e Governo: il futuro sorride
Segnali incoraggianti arrivano da un approfondimento di Agenda digitale, il quale segnala, che in Europa il nostro Paese, insieme alla Spagna, riporta un livello di istruzione femminile notevolmente maggiore rispetto a quello maschile. I dati fanno riflettere in positivo, perché in Italia, nel 2019, le donne con almeno un diploma rappresentano quasi i due terzi del totale (il 64,5%), mentre gli uomini (il 59,8%).
Le donne laureate italiane rappresentano il 22,4% (contro il 35,5% di media UE) rispetto al 16,8% degli uomini. Da segnalare un altro dato da non sottovalutare, negli ultimi cinque anni la quota di donne diplomate e laureate è aumentata, in entrambi i casi, di un +3,5%.
Un altro settore che incoraggia è la politica: negli ultimi anni si è assistito ad un aumento delle donne politiche elette in Italia – si è passati dal 30,7% al 36% nelle elezioni del 2018 – nel Parlamento Europeo invece, nel 2019 la quota delle rappresentanti politiche italiane ha raggiunto il 41%). Inoltre recentemente, con l’insediamento del Governo Draghi si è passati al 35% di rappresentanza femminile nel ruolo di ministre.
È infatti proprio dal nuovo governo Draghi, che arrivano le speranze di un futuro meno oscuro. Il nuovo ministro del lavoro, Andrea Orlando, il 22 marzo scorso ha sottolineato – come riporta l’agenzia di stampa adnKronos – che per salvaguardare i principi dell’articolo 27 del Codice di Pari Opportunità, il governo sta lavorando per costruire meccanismi di piattaforme anonime che denuncino maltrattamenti o abusi di donne sul posto di lavoro. Un esempio di ciò come queste piattaforme anonime comincino a muoversi, è dato dal fatto che è ora proibito ai datori di lavoro fare domande personali ad una donna al momento della sua assunzione, pena la violazione proprio dell’art. 27.
Tempi straordinari richiedono politiche straordinarie. Non bastano incentivi ma strategie per creare lavoro e sforzo di progettazione su donne e giovani: investire in servizi, salute, ambiente, scuola, asili nido e cura. #giornatainternazionaledelladonna https://t.co/gNjOlTJnpG
— Andrea Orlando (@AndreaOrlandosp) March 8, 2021
Non saranno ancora i tempi maturi per affermare che la sfida verso il raggiungimento della parità di genere è vinta, troppi ancora i numeri giornalieri, più che annuali, di femminicidi o violenza domestica (purtroppo non esiste solo la condizione lavorativa femminile a tenere banco) tuttavia queste piccole ma grandi mosse degli ultimi tempi, potrebbero portare in un prossimo futuro a cancellare le nubi di prepotenza e inutile sessismo.
«Quanto più libere saranno le donne, tanto più lo saranno gli uomini. Perché chi rende schiavo è a sua volta schiavo».
Louise Nevelson
Recitava così la scultrice ucraina Louise Nevelson, nello scorso secolo, come a testimoniare che le grandi rivoluzioni, culturali o amministrative che siano, provengano proprio da un progressivo mutamento del pensiero comune.