Tredici anni dopo il successo di “Alla ricerca di Nemo” il regista Andrew Stanton riporta sul grande schermo il sequel del film d’animazione premiato con l’Oscar e targato Disney Pixar. In questo secondo episodio, il piccolo pesce pagliaccio insieme a suo papà Marlin, lasciano spazio alla storia di Dory, compagna di avventura incontrata durante il salvataggio di Nemo.
Trascorso un anno dal viaggio australiano, Dory – affetta da perdita di memoria a breve termine – decide all’improvviso di voler ritrovare i suoi genitori e convince Nemo e Marlin a seguirla nella traversata oceanica in direzione California. Qui riesce a raggiungere il grande acquario naturale del Parco Nazionale Oceanografico dove ricorda di essere cresciuta insieme a mamma e papà. Ritrova i suoi vecchi amici, conosce Hank, un polpo che l’aiuterà a non dimenticare il suo obiettivo e infine ripercorrerà, conchiglia dopo conchiglia, tutte le tappe della sua infanzia.
Ancora una volta gli autori della Pixar ci presentano un personaggio imperfetto che durante il film ci ripete fino allo sfinimento che “soffre di memoria a breve termine”, quasi facendoci stancare di questa frase. Qui il difetto non è più fisico (ricordiamo la pinna atrofica di Nemo) ma neurologico e questo altererà spesso gli equilibri tra Dory e i suoi amici (lo stesso Marlin infuriato le griderà “l’unica cosa che sai fare è dimenticare!”).
In questa condizione, Dory non sperimenta solo l’imbarazzo della perdita di memoria ma si fa antenna dei feedback che riceve da chi gli sta attorno. «Non posso proseguire il viaggio da sola perché dimenticherei presto dove andare» confessa più volte ed è qui che entra in gioco il ruolo della comunità che le sta attorno. Nemo, Marlin, Hank, Destiny e tutti gli altri personaggi che incontra nel suo lungo viaggio, nessuno di loro si sottrae dal “tenderle la pinna”, aiutandola a colmare quel suo difetto. Si crea una rete che supporterà Dory fino alla fine dell’avventura, una rete che la aiuterà a riconquistare non solo la memoria ma la sua autostima, la certezza che anche con i suoi limiti potrà vincere delle battaglie.
“Alla ricerca di Dory” ci fa ridere, scherzare ed emozionare ma il valore aggiunto sul quale gli autori crediamo abbiano scommesso è l’immedesimarsi in chi è diverso da noi ed è costretto a convivere con un limite. A noi non vengono chieste grandi imprese, basta un pizzico in più di pazienza e l’orecchio teso, pronto a captare (come Bailey nel film) i bisogni di chi ci “nuota” attorno.