Hala Makhlouf è una donna egiziana che ha a cuore il benessere del suo paese, quel benessere tale da proteggere i cittadini e assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Ci racconta la sua esperienza sul campo.
Questa intervista è stata realizzata in collaborazione con Mekané – Ideas for development, particolarmente grazie a Eugenia Pisani, una delle Project Manager di Mekané.
Ti
occupi di Human Rights lavorando per l’Egyptian Initiative for Personal Rights,
come descriveresti il tuo lavoro e in che modo il tuo essere donna lo influenza?
«Io lavoro per un’organizzazione che si
occupa di diritti umani, che ha sede a Cairo, con diversi uffici regionali in
altre zone dell’ Egitto. Sono responsabile dell’organizzazione del lavoro
delle comunità locali; il nostro obiettivo principale è quello di fare il punto sui diritti umani in diverse regioni in Egitto. Vogliamo che le comunità siano in
grado di esigere i propri diritti, in particolare quelli economici e sociali (il
diritto alla terra, alla casa, alla sanità e all’istruzione). Vogliamo decentralizzare il
conflitto, il problema, in modo che possiamo decentralizzare anche la
soluzione. Vogliamo fare pressione sui governi locali in modo da trovare delle soluzioni a livello locale
piuttosto che di governo centrale.
Inoltre, lavoro sul “diritto alla
città e spazio pubblico”. Noi organizziamo campagne, workshop, eventi
per discutere di tali questioni. Abbiamo lanciato una serie di seminari,
denominati “spazio pubblico rivoluzionato”. Abbiamo discusso di come gli
spazi pubblici sono stati colpiti dopo la rivoluzione, come siano stati
liberalizzati, per un po ‘, dopo la rivoluzione. Discutiamo di come la polizia
organizza lo spazio pubblico, il conflitto economico, i venditori ambulanti…
La mia organizzazione è
un’organizzazione femminista, sono stata fortuna a poter lavorare con loro. È
una situazione confortevole. Ovviamente ci sono anche uomini. Inoltre, quando
faccio dei colloqui do preferenza alle donne perché sono più motivate e ben
qualificate».
Raccontaci
del dopo Mubarak, del dopo rivoluzione per le donne. “Libertà, dignità e giustizia sociale” sono i diritti
urlati in piazza Tahrir al Cairo: quanto sono rispettati e quanto restano
perseguibili solo idealmente?
«Dopo Mubarak, i 18 giorni di Tahir,
eravamo al settimo cielo, eravamo tutti molto eccitati ed entusiasti. Abbiamo
pensato che tutto era possibile, che potevamo cambiare le cose, cambiare tutto. E
invece, la rivoluzione è stata dirottata due volte: dall’esercito e dai Fratelli
Musulmani. Entrambe le organizzazioni sono autoritarie e pensano solo alla
propria esistenza e alla loro continuità e non si preoccupano di rispondere alle
esigenze delle persone che sono scese in piazza. La situazione sta peggiorando ed
è deprimente. Il governo sta reprimendo duramente tutte le organizzazioni che
si occupano di diritti umani, limitando le libertà personali,
imprigionando gli attivisti politici, i gay, i manifestanti, ma anche quelli che
vanno alle manifestazioni semplicemente per manifestare per i loro diritti
sociali ed economici. La situazione è peggiorata nel
mese di agosto 2013, quando il governo ha ucciso 1.000 manifestanti dei Fratelli
Musulmani nele piazze di Rabaa e Nahda.
Dal punto di vista dei diritti economici
e sociali, la situazione sta peggiorando e le persone sono sempre più povere,
il governo ha fatto aumentare i prezzi dell’energia e per la prima volta abbiamo
avuto interruzioni di corrente frequenti e lunghe. Quindi, la situazione sta
peggiorando sia per quanto riguarda i diritti politici sia dal punto di vista della situazione
economica esociale.
Il Governo sta imprigionando gli
attivisti, gli attivisti politici e dei diritti umani. Ora c’è una campagna per
i prigionieri, che stanno facendo scioperi della fame, e sono supportati da
attivisti fuori della prigioni. Tali attivisti hanno subito processi iniqui,
basati su nessuna prova. Tutta questa situazione è
ridicola.
Il popolo egiziano sta perdendo la
speranza e i rivoluzionari stanno perdendo la fede in un vero e proprio
cambiamento».
Nel
periodo della rivoluzione sul web giravano diversi articoli riguardo le
molestie alle donne per dissuaderle dal partecipare alla vita pubblica. Si è
scritto di atti di violenza al limite della tortura fisica. Allarmismo mediatico o sconcertante realtà?
«In realtà molte donne sono state
aggredite sessualmente, fino ad arrivare a stupri con violenza. Alcune donne sono
state stuprate e accoltellate nelle vagine. Questa situazione va avanti da 3 anni e non abbiamo avuto alcuna protezione da parte del governo né da
parte della polizia. Alcuni gruppi di volontari si sono formati con lo scopo di
salvaguardare le donne e per tirarle fuori delle folle che le assalgono. Ma questo
tipo di aiuto è possibile solo durante le manifestazioni e comunque non è mai
abbastanza. Noi non siamo preparati per questo.
La vita quotidiana è molto difficile per
le donne: possono essere aggredite verbalmente e fisicamente e non importa se
sono velate o no, semplicemente accade e accade sempre».
Se
pensiamo alle donne egiziane nella vita
politica viene da pensare se siano parte attiva e integrata o piuttosto una leva dei partiti per ottenere popolarità
tra la popolazione femminile. Qual è la tua esperienza in merito?
«In realtà non c’è vita politica in
Egitto, non abbiamo un Parlamento dal 2012 e i partiti politici sono molto
vecchi, corrotti, deboli e non rappresentativi. Anche i giovani partiti
emergenti non hanno avuto il tempo né le risorse economiche per organizzarsi,
per essere in grado di reclutare persone, perché tutto è accaduto così in
fretta».
In
Occidente si parla spesso dei diritti delle donne lavoratrici. Al Cairo come se la
passano le donne che scelgono di lavorare? Esiste una realtà di donne
lavoratrici? E di moglie e mamme lavoratrici?
«È difficile camminare per le strade, ma
lo facciamo comunque. Le donne vanno a lavorare e sono più
indipendenti. Hanno i loro lavori, i loro soldi, ma non è sufficiente per
l’empowerment. E naturalmente, la situazione per le donne è influenzata dalla
classe sociale di appartenenza. Dobbiamo vivere una vita normale, lo spazio
pubblico deve essere sicuro e accogliente. Non dobbiamo dover passare
attraverso tutto questo e attraverso il rischio di essere perseguitate».
Ti
chiediamo di commentare in una frase il video della ragazza, Colette Ghunim, che passeggia per uno dei ponti
più affollati della tua città.
«Questo è solo un esempio di ciò che
accade quotidianamente alle donne per le strade. Mentre camminiamo fissano i
nostri corpi, fanno commenti; si percepisce l’ostilità».