Marina, questo non è il momento, per favore!
Mamma, quand’è il momento dimmi. Perché non possiamo mai parlarne. Avete speso una fortuna con gli psicologi per convincermi che non avevo problemi, che la vita continuava e andava tutto bene. Beh, lo sapete. Ogni volta che evitate di parlarne mi sento veramente di m****[…] Ho bisogno che lo diciate. Dillo mamma, dillo[…]
Si tratta del dialogo che si svolge nella prima puntata di Èlite – serie prodotta in Spagna e distribuita da Netflix dal 5 ottobre – tra una delle protagoniste, un’adolescente di nome Marina, e la madre. Il contesto è quello della cucina della lussuosa villa di famiglia, durante la festa di debutto in società di Marina. Il padre, un ricco imprenditore, e il fratello Guzmán, che frequenta la stessa scuola, sono presenti al dialogo che hanno contribuito a innescare e che si conclude con l’uscita di scena della madre e il silenzio dei restanti.
Questa serie si inserisce nella lista dei teen drama e ha per protagonisti un gruppo di adolescenti di una scuola che forma la futura classe dirigente spagnola. Nelle prime otto puntate, che costituiscono la prima stagione, le figure adulte sono assenti e pressoché insignificanti.
Identità sessuale, sessualità, droga, sieropositività, integrazione socioculturale, a tratti anche perversione, sono le tematiche che si ripresentano nell’intreccio narrativo, che si articola attraverso flashback a partire dalla risoluzione di un omicidio.
Cosa può significare una serie di questo tipo per gli adolescenti che la guardano? Cosa dice agli adulti che dovrebbero essere modelli di riferimento? Qual è il messaggio che passa e qual è il messaggio che si vuol far passare?
Questo articolo non ha la pretesa di rispondere a queste domande, ma vorrebbe lanciare una provocazione. Su Avvenire del 10 ottobre 2018, il giornalista Andrea Fagioli conclude la sua riflessione sulla serie così: «Ma se tutti i ragazzi tra i sedici e i diciassette anni fossero come quelli di Èlite ci sarebbe di che preoccuparsi. Noi ci preoccupiamo, con la speranza, però, che non tutti siano così. E abbiamo la garanzia che non lo sono». Certamente i ragazzi non sono così, ma gli adulti sono capaci e soprattutto hanno la volontà di mettersi in discussione nel sostenere un dialogo? Ci sono adulti pronti a spendere una fortuna, ma quanto tempo ed energie relazionali investono concretamente?
Credo che serie di questo tipo dovrebbero puntare sempre più l’attenzione non sugli adolescenti come problema, ma sulla volontà degli adulti di spendere del tempo per stare e ascoltare i nostri giovani.