Roma, Via Marcello II, quasi sotto casa. La scritta adesso è scolorita e decrepita, invecchiata assieme al muro che la ospita: «Guerra di sguardi». Poiché non ce la fa più, vorremmo renderle omaggio prima che si spenga. Per aver conservato un’ombra di significato in una bolgia di graffiti insensati e per aver mantenuto, a dispetto dell’età, una bellezza fiera. Che evocava poemi epici o film americani degli anni Quaranta e Cinquanta, dove gli occhi erano del corpo la parte più importante e gli eroi si riconoscevano dallo sguardo.
Ci siamo guardati per molte mattine, noi e la scritta, mettendo da parte le ostilità. E più volte è montata la curiosità di sapere da dove venisse: l’avremmo detta di nobili origini, discendente da una poesia o da una canzone. Ci piaceva di lei l’assonanza guer-guar e pure l’accostamento ardito di due termini lontani, guerra–sguardi, che l’assimilava a un ossimoro.
Di certo era strana per un muro, non essendo una sentenza né volendo far sorridere. Forse era un semplice frammento, una reliquia, come il volto di una statua antica riportato alla luce senza il resto del corpo. Oppure un verso senza padri e senza figli, cioè che non sapeva come iniziare e come proseguire. Per questo ci piace considerarla un monumento al poeta ignoto. E ai lettori di poesia ignoti, a cui basta toccare un lembo di mantello per sentirsi rinascere.
26 Nov 2012