Ottomila sbarcati in due mesi, è questa la cifra di uomini, donne e
diversi minori che sta riversandosi da mesi a Reggio, sulla punta della
Calabria. Più che di migranti, bisognerebbe parlare di sopravvissuti
spesso soccorsi nel Canale di Sicilia, dove, poco più a sud, un barcone dopo
l’altro si trova a sfidare correnti leggendariamente pericolose.
Uno scenario
divenuto abituale e che ogni giorno può diventare tragico perché degli oltre
centomila migranti già sbarcati da inizio 2014, molti muoiono e altri sono
catalogati come dispersi.
I migranti che arrivano a Reggio Calabria mostrano sul viso gli orrori della
morte vista da troppo vicino. L’ultima, volta, domenica 24 agosto un altro di
loro, infatti, non ce l’ha fatta: era un eritreo, come molte delle vittime del
naufragio avvenuto pochi giorni prima in Libia. E come in altri casi, narrati
dagli stessi migranti, è stato uno scafista a provocarne la morte: un
colpo di spranga alla testa durante il trasbordo davanti la coste di Tripoli.
Con questo nuovo maxi-sbarco sulle coste calabre, si è giunti, lo dicevamo, a
quasi ottomila immigrati transitati in questo lembo di Italia solo negli ultimi
due mesi. L’estate, infatti, ha incentivato i viaggi dalle coste africane
o mediorientali verso l’Italia e le cifre hanno inziato a registrare numeri da
capogiro.
Accanto a queste notizie che riempiono i media, ci sono, però, anche storie
di incontro, di accoglienza, di scoperta dell’altro è la storia di Teresa,
Terry per gli amici, reggina d.o.c. che fin dalle prima avvisaglie di emergenza
sbarchi si è tirata su le maniche ed è entrata a far parte del Comitato di
volontariato a supporto della Protezione Civile, una realtà voluta fortemente
dallo scalabriniano P. Bruno Mioli, direttore della Migrantes diocesana, che
coordina il gruppo. Parrocchie e associazioni insieme a radunare vestiti,
generi di prima necessità e, certamente, una mano accogliente ed uno sguardo
rassicurante.
«Desideravo da tempo dare il mio contributo nel
servizio di accoglienza consapevole che sarebbe stata un’esperienza
emotivamente forte. E così è stato. Lo sbarco del 16 luglio mi è rimasto
particolarmente nel cuore.
L’approccio iniziale con i migranti non è stato
facile: il desiderio di rivalsa di una vita che è stata troppo dura con loro,
mista all’eccitazione di essere arrivati e arrivati vivi, creava confusione
nella palestra in cui erano ospitati, ma allo stesso tempo qualcosa stava
nascendo. Donne, bambini, uomini e ragazzi, bisognosi solo di una realtà serena
e di qualche abito pulito». Così Terry ricorda i primi passi in questa realtà
che, ormai, segna le sue giornate.
Il racconto prosegue
come un fiume in piena quando l’incontro con questi fratelli e sorelle è sceso per questa giovane più in
profondità: «Mi è stato raccontato qualche sogno nel cassetto e
la speranza di poterlo realizzare e tante risate fatte in quella realtà che
emanava al contempo tanta tristezza. La tristezza è diventata commozione quando
abbiamo cominciato a capirci, nonostante la lingua diversa. Parlavano gli
occhi, parlavano i cuori».
La sua semplice conclusione, però, è di quelle che spiazzano il sentire comune nei media, perché legge quanto sdta accadendo nel senso di una occasione, di
una scoperta della ricchezza di ogni essere umano, se solo gli è data la
possibilità di un futuro: «Oggi, per me, non sbarcano più estranei, sbarcano amici!».
Terry e gli altri volontari ce la stanno mettendo davvero tutta, anche contro gli umori di una città che vede solo il lato oneroso della vicenda, senza dubbio difficile da gestire asetticamente, convinti come sono, però, che il loro gesto, forse piccolo, può contribuire a far rinascere un sorriso in chi l’ha perduto da tempo.