Il 13 novembre 2018 si è svolta la Giornata dei Curriculi presso l’Università Pontificia Salesiana. Un appuntamento annuale che permette a docenti e professori di confrontarsi e approfondire tematiche sociali attuali e sempre pungenti. In questa edizione si è dato spazio a osservazioni e considerazioni sulle fake news riguardo la figura di Papa Francesco e non solo. Uno dei relatori della giornata era il giornalista e scrittore del quotidiano “Avvenire” Roberto Beretta, autore del libro “Fake Pope” (Ed. San Paolo 2018).
Tra Papa Francesco e alcuni leader politici possono esserci legami riguardanti la diffusione di fake news, al fine di esaltare o distruggere la sua immagine pubblica?
«Certo, anche nei confronti di Papa Francesco si realizza il meccanismo facile della comunicazione “social”, consistente nel far circolare “voci”, tra cui anche fake news, per sostenere o (più spesso) demolirne l’immagine pubblica. Siccome oggi risulta sempre più praticata tra gli uomini politici la tattica di attirarsi i consensi attraverso la “vetrina” della comunicazione digitale, anche gli avversari utilizzano i medesimi mezzi per attaccarli o accusarli, a torto o a ragione. Papa Francesco, in quanto personaggio pubblico, non sfugge a questa regola, dal momento che parecchie categorie di persone hanno interesse a contrastare la sua azione».
Come è possibile che i soggetti adulti siano spesso più inclini, rispetto ai ragazzi, a condividere fake news sul web?
«Forse perché la “generazione digitale” è più allenata al mezzo social e sa per esperienza diretta che richiede comunque verifiche accurate. O forse perché ormai i giovani frequentano piazze digitali diverse dal “vecchio” Facebook o dai tradizionali siti Internet. Di sicuro noi “anziani” abbiamo una maggiore attitudine a “fidarci” di quello che leggiamo, perché proveniamo da una cultura più tradizionale. I giovani potrebbero aver sviluppato invece maggiori anticorpi verso i virus del web».
Il clima d’odio che si respira nella società può essere il risultato di una cattiva informazione?
«Sì, se con “cattiva” si intende un’informazione che ha deluso o che si è verificata come incompleta, partigiana, pilotata da vari poteri… Allora la rabbia dei lettori, dei cittadini, potrebbe essere la conseguenza anche di una generale sfiducia nel ruolo di tutela e di difesa democratica dei mass media. Più in generale, però, credo che l’attuale clima di intolleranza dipenda da tanti fattori culturali, per esempio dall’individualismo che spinge a qualunque compromesso (anche a discapito del prossimo) pur di ottenere successo oppure dall’inefficacia del ruolo pubblico nel contrastare i fenomeni di corruzione e malaffare. Il cittadino si sente allora solo e crede di poter reagire menando fendenti sui social (e non solo…) per farsi giustizia da sé».
Possono alcuni meme o i post di un leader politico prendere il consenso del popolo, trattando contenuti antisemiti, differenza di razza e di sesso? Il Web e tutti i media hanno davvero il potere di rievocare gli errori commessi dall’uomo nei secoli passati?
«Che un meme o alcuni post possano portarci a un regime razzista e disumano come certi del recente passato può sembrare irrealistico, e probabilmente lo è. Dobbiamo tuttavia tener presente che la pervasività, la velocità di diffusione e la carenza di controllo che caratterizzano i mezzi digitali sono quanto di meglio possa desiderare qualunque potere che voglia creare un clima di paura generale: l’humus migliore per far crescere le dittature. Vediamo già ora quanto la ripetizione di certi contenuti abbia il potere di farli sembrare “normali” all’opinione pubblica generale; opporsi, contrastarli diventa sempre più difficile. “Le parole sono pietre”, diceva qualcuno: e quando un sasso rotola lungo la china, non è impossibile che crei la valanga».