«Sostenere la famiglia è uno dei passi che l’Europa deve compiere per uscire dalla crisi che da anni la attanaglia. Investire sulla famiglia vuol dire rigenerare capitale umano e sociale ovvero formare umanamente cittadine e cittadini maturi e responsabili. Non è solo una questione religiosa ma un compito civile». C’è la “famiglia” al centro della prolusione di inizio anno accademico dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. La relazione è stata affidata a Giulia Paola Di Nicola, direttore responsabile del Centro Ricerche Personaliste di Teramo e Attilio Danese, docente di sociologia dell’educazione. Qui di seguito, alcuni passaggi dell’intervento dei due sociologi rivolto a studenti e docenti.
Sempre meno famiglie in Europa. I dati EuroStat del 2014 confermano che nel corso di quattro decenni si è verificata una riduzione di 3,1 matrimoni ogni 1000 abitanti, mentre il numero di divorzi è raddoppiato, sfiorando i 2,0 all’anno ogni 1000 abitanti. L’età percentuale del primo matrimonio si innalza: nel 1980 era 26 anni per gli uomini e 23,3 per le donne; nel 2003 per gli uomini 30 e per le donne 27,7. In diminuzione anche i figli: tra le cause del calo demografico troviamo l’aborto. Ogni anno se contano 1.200.000, cioè un aborto ogni 5 gravidanze. Aumentano, invece, i figli nati in Europa fuori dal matrimonio (2.000.000) da coppie non coniugate o madri sole.
Manca un diritto europeo uniforme. Mentre l’Europa deve tenere conto delle sensibili differenze dei diversi tipi di famiglia il modello conforme al sentire popolare, ossia quella «eterosessuale, monogamica fondata sul matrimonio» evoca sempre più “conservatorismo”. La Carta di Nizza (2000) ha rotto il binomio tra famiglia e matrimonio quindi si considerano famiglie anche le unioni registrate e quelle che comportano una effettiva comunione (materiale o spirituale) di vita. Ciò che manca è quindi un uniforme diritto europeo, un corpo organico di regole e principi che equilibri le diverse realtà nazionali evitando l’atomizzazione dispersiva. E’ quindi possibile trovare il filo che raccolga possibile convergenze e dia unità di senso alla famiglia? Più che dai decreti dei Palazzi, molto dipenderà da come i cittadini sentiranno e vivranno l’istituzione e le dinamiche relazionali della famiglia.
La famiglia è un “peso da evitare”. Tra l’80 e il 90% dei giovani europei credono che la famiglia rimanga l’istituzione più affidabile per trasmettere il patrimonio da una generazione a quella successiva. La ricerca di Schneider “Value of Marriage” sottolinea che il calo della nuzialità non significa disistima del matrimonio, al contrario giudicato positivamente dalla maggioranza degli intervistati; attesta piuttosto che, sopraffatti dalla cultura del sospetto, i ragazzi sono iper-prudenti e spesso diffidenti circa una scelta di vita definitiva. Fondare una famiglia finisce con l’apparire non come un bene da perseguire ma un peso da evitare. Si ritiene quasi impossibile il “per sempre” di qualsivoglia scelta come pure riuscire a conciliare felicità e fedeltà a vita ad una stessa persona. Eppure i giovani si rendono conto che le convivenze e unioni civili rescindibili sono condizionate negativamente da maggiore libertà, processi lenti, minore sicurezza per partner e figli. Ciò dimostra che anche coloro che scelgono la convivenza, hanno in mente una relazione permanente.
Come sostenere la famiglia? Dovremmo concentrare l’impegno educativo non tanto a difendere le regole, quanto a ottimizzare le relazioni sponsali in termini di qualità della comunicazione, di amicizia fedele e reciprocità della cura. Se il matrimonio non è più dato per scontato nè considerato utile per una vita felice, spetta agli educatori dare ragioni motivate e convincenti, libere dalla nostalgia del passato e da modelli falsamente “innovativi”, che spesso si rivelano peggiorativi. Educare all’affettività in prospettiva relazionale sin dalla prima infanzia. Tutto ciò è fondamentale in una prospettiva di buona cittadinanza civile; a maggior ragione è nella formazione cristiana. Occorrono adulti in grado di fare delle scelte e di assumerne la responsabilità.
I dieci motivi “laici” per cui sposarsi.
1. Il tempo di decidere della propria vita: è importante educare ed educarsi a prender in mano la propria vita e decidere come e per chi spenderla. 2. Investire sull’altro: l’altro non è qualcuno da “provare” con accezione meccanica, il matrimoni esige un investimento di fiducia nelle sue buone potenzialità. 3. Lavorare le differenze: il matrimonio è un laboratorio di relazionali interpersonali, giorno dopo giorno si impara a vivere con qualcuno. 4. Rapporti intergenerazionali: la differenza tra generazioni consente la trasmissioni delle memorie della storia familiare. 5. Sessualità è comunicazione: un mondo umano e relazionale che lui e lei generano quotidianamente.
6. Procreazione, futuro di un popolo: nonostante le aperture ideologiche alla pluriformità dei legami le nazionali si sviluppano perché ancora uomini e donne che si amano procreano. 7. Figli da accompagnare a vita: due sposi non si limitano a procreare, ma accompagnano i figli per lunghi anni. 8. Stabilità dell’istituzione e rigenerazione del consenso: senza l’amore l’istituzione è uno scheletro, ma senza l’istituzione l’amore è più fragile e più esposto ai rischi dell’abbandono. Rendere pubblica la propria unione è un atto di responsabilità. 9. Una società da coinvolgere: gli sposi rendono visibile il loro amore e lo istituzionalizzano, la società si impegna a collaborare al mantenimento della famiglia nelle varie forme di sostegno. 10. Perdono: visto non solo come una virtù cristiana ma anche una indispensabile virtù civile. La società si regge sulla capacità di ricominciare.