Non studiano, non lavorano e non si formano. l’Istat a fine 2014 ne ha contati in Italia più di tre milioni e mezzo con un età compresa tra i 15 e i 34 anni. Nella vita aspirano a qualche gratificazione che li motivi ad andare avanti, anche se il futuro continuano a vederlo incerto. Sono i NEET (Not in Education, Employment or Training) quei giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo ma neppure impegnati in un’attività lavorativa. Un’indagine condotta dall’Ong WeWorld li ha studiati, presentando cause e possibili vie d’uscita da un fenomeno che sta investendo in larga scala il nostro ed altri Paesi europei.
Occorre, però, subito specificare che il fenomeno Neet non è del tutto definibile. Questo termine, infatti, include diverse situazioni. Alcuni comportamenti dei giovani potrebbero essere considerati scelte vere e proprie: ad esempio la giovane donna che fa la “casalinga” è rubricabile in “Neet”? Inoltre l’indagine ha incluso all’interno della categoria anche chi svolge lavoro nero. Ecco allora che occorre descrivere i Neet con un profilo più psicologico che sociologico: i Neet sono la fascia di giovani marginali che hanno sancito il proprio ritiro dal mondo. Correlato a questo fenomeno è la dispersione scolastica. 1 ragazzo su quattro, tra i Neet, ha alle spalle un percorso formativo legato all’abbandono scolastico . In una Europa in cui la media di dispersione scolastica si attesta al 11,7%, l’Italia si posiziona in fondo alla classifica con il 15% di ragazzi che lasciano gli studi. Tali percorsi vengono interrotti a causa di bocciature, trasferimenti, cambi di indirizzo, diventando così l’anticamera della condizione Neet.
L’indagine ha raccolto le storie di 42 ragazzi provenienti da sette città: Torino, Milano, Pordenone, Palermo, Napoli, Roma e Bari. Ne esce fuori un’immagine di scuola che non motiva nè entusiasma, percepita affatto come ambiente educativo in cui crescere. I Neet partecipano poco a realtà associative e gruppi organizzati, investendo raramente del tempo in ambienti culturali o solidaristici. Sempre più ricurvi su se stessi e sulla propria famiglia, credono poco nelle relazioni costruite al di fuori della cerchia familiare. Il livello di fiducia nelle istituzioni politiche è pressoché nullo: non più di due giovani su dieci dichiara di aver fiducia nello Stato e nelle istituzioni politiche del nostro Paese.
«Fannulloni, chiusi e poco speranzosi». A definire così aspramente i Neet non è il mondo adulto ma i loro stessi coetanei occupati. La ricerca dell’isituto IPSOS che accompagna l’indagine ha permesso di cogliere il punto di vista dei giovani sul fenomeno Neet. Ed è proprio su questa dicotomia tra “chi ce la fa” e “chi no” che, secondo l’organizzazione, è necessario intervenire. Come? Una strategia a punti che mira a prevenire il fenomeno non può non toccare l’ambiente scolastico, la famiglia e la formazione. Secondo WeWorld solo costruendo stabili relazioni tra scuola, famiglia e territorio è possibile creare un ambiente favorevole al recupero dei ragazzi più fragili. Maggiore attenzione va rivolta a quegli studenti provenienti dagli ambienti sociali svantaggiati che più di altri abbandonano precocemente gli studi. In questo processo è utile che i giovani vivano delle esperienze che li rendano effettivamente responsabili delle proprie scelte interrogandosi sulle competenze acquisite e quindi sul saper riconoscere “cosa so fare” e “cosa no”. Tutto ciò aumenterà l’auto-consapevolezza e la fiducia in se stessi.
Il futuro: sogno o incubo?
«Beh un sogno, se no che senso avrebbe vivere? È l’unico motore che ti spinge a vivere». Milano, 23 anni, non Neet (studente)
«Come un sogno perché sto già passando tanti incubi! Per carità i problemi non finiscono mai, ne risolvi uno e arriva un altro, quindi spero soprattutto nella salute perché se c’è la salute c’è tutto il resto». Palermo, 23 anni, Neet (disoccupata)