Giovani e psicologia: dall’illustrazione all’educazione

Sbloccati i fondi del Bonus Psicologo, ma potrebbero non bastare e i richiedenti sono in gran parte giovani. Uno sguardo (e una “matita”) sul mondo giovanile attraverso la voce di chi li incontra nei social, a scuola e in diversi ambiti anche formando psicologi

Ammonta a un massimo di 1500 euro per richiedente la somma del Bonus Psicologo prevista per l’anno 2024, una notizia che fa tirare un sospiro di sollievo alle tante persone che riconoscono nella psicoterapia un aiuto valido e necessario. C’è però un “ma” che ribalta la situazione: nel 2022 i fondi utilizzati sono stati circa 25 milioni di euro, una somma molto più ampia di quella prevista per il 2023. Da tale constatazione ne deriva immediatamente una successiva, e cioè che i fondi potrebbero non bastare per tutta la popolazione richiedente. Una notizia di questa portata, oltre a generare un plausibile scontento, apre anche a una ulteriore riflessione su quanto il bisogno della psicoterapia si stia diffondendo sempre più a macchia d’olio tra giovani e meno giovani, come emerge dal XXII Rapporto Annuale INPS.

Le fasce d’età maggiormente interessate alla richiesta di supporto psicologico sono quelle che vanno da meno di 18 ai 29 anni. Ma perché un tale aumento di richieste? Cosa cercano e come potere aiutare davvero i giovani? Domande legittime e che perciò non possono rimanere senza risposta.

La psicologa Guzzardi: aiuto i giovani a conoscere il “mostro”

Roberta Guzzardi è una psicologa, psicoterapeuta e illustratrice, molto attiva su Instagram con un seguito di più di centomila followers, la maggior parte giovani. A lei abbiamo rivolto alcune domande per approfondire quale sia la situazione giovanile e perché in così tanti cercano e abbiano bisogno di un sostegno psicologico.

Dall’incontro con la dottoressa Guzzardi sono emersi vari temi interessanti e attuali che si possono approfondire ulteriormente guardando l’intervista integrale. Di seguito si riportano alcuni stralci tra i più rilevanti.

 

A cosa è dovuto l’incremento di giovani che ricorrono alla psicoterapia?

«Credo che sia dovuto non solo a un crescente bisogno di aiuto di questo tipo, ma proprio a una consapevolezza maggiore di quelli che sono i problemi psicologici stessi. La maggiore sensibilizzazione che si è attuata nel tempo in questo ambito permette oggi ad un giovane di individuare più facilmente un malessere interiore come un problema psicologico chiedendo così aiuto, e imparando a dare il nome giusto a quello che vive».

 

Che cosa cerca un giovane oggi?

«Credo che i giovani oggi cerchino una cosa molto simile a ciò che hanno sempre cercato e una cosa nuova rispetto alle generazioni precedenti. L’elemento in comune con il passato credo sia la ricerca di identificazione per capire chi sono, che senso ha la loro vita e come mettere ordine nelle loro caratteristiche per trovare quel posto nel mondo da abitare pienamente. Rispetto al passato, invece, c’è una necessità più alta di trovare punti di riferimento; prima, infatti, ce ne erano di più, il mondo era più semplice, c’erano meno dicotomie e tutto era più organizzato: figure come adulti, sacerdoti e insegnanti erano riferimenti. Oggi non è più così anche perché spesso queste stesse figure sono in contrasto tra loro e non essendoci una linea educativa comune, il ragazzo non sa più a chi far riferimento per cercare la verità su di sé. Il giovane oggi cerca di capire chi è e chi possa aiutarlo a scoprirlo».

 

Cosa può davvero aiutare i giovani oggi?

«Certamente la psicoterapia è un aiuto molto valido e lo dico non solo da psicoterapeuta, ma anche da persona che da giovane ha trovato in essa un grande sostegno. Credo, però che ci siano anche altri aspetti importanti, come ad esempio il confronto con i coetanei, necessario per poter normalizzare le proprie situazioni interiori. Io, ad esempio, ho un profilo Instagram e una delle cose che maggiormente mi ha colpito, nel momento in cui ho deciso di condividere una serie di stati d’animo difficili e complessi, è stato notare quanto dall’altro lato, ci fossero soprattutto giovani bisognosi di scoprirsi meno soli nel vivere determinate situazioni; giovaniche hanno necessità di confrontarsi con persone pronte a rassicurarli dicendo loro che ciò che si sta provando in fondo va bene, che è normale e che lo provano tante persone come loro. Questo diminuisce, in qualche modo, il rischio dell’isolamento. C’è però, un terzo aspetto importante: poter avere un orizzonte di senso più ampio facendo riferimento a una sorta di spiritualità. È utile, a mio avviso, credere che ci siamo per un motivo ben specifico e riuscire ad identificare le proprie caratteristiche non solo come normali, perché comuni a tutti, ma specifiche per realizzare la propria vita».

 

Quali sono gli obiettivi principali che la muovono quando condivide le sue illustrazioni sui social?

«Il primo obiettivo è quello di condividere ed esprimere cose che riguardano in primis me. Io, infatti, uso molto le illustrazioni, che mi piace chiamare psicofumetti, per mettere ordine nel mio mondo interiore e siccome mi aiuta disegnare, ciò che poi viene fuori, mi permette di rileggere le emozioni semplificandole e, solo dopo, condividendole. Il secondo obiettivo è cercare di proporre dei messaggi per far sentire le persone più normali di quanto non si sentano, per mostrare loro come siamo in tanti a essere “strani”».

 

Può condividere un esempio in cui le illustrazioni hanno favorito uno scambio significativo con qualcuno dei suoi follower o con la sua social community?

«Tanti anni fa, quando studiavo ancora Scienze della Comunicazione, già mi piaceva disegnare e disegnavo un piccolo personaggio Hoppy (come Hope speranza) che interloquiva con Dio e avevo fatto una piccola vignetta dove lui diceva di aver sognato di costruire una scala per salire sulla cima di una montagna, ma la montagna era enorme e si domandava come fare a salire con la sua piccola scala. C’erano anche degli elementi oscuri che identificavo come la cultura dominante che tentavano di scoraggiarlo dicendogli di lasciare stare e che non ne sarebbe valsa la pena, ma lui voleva provarci lo stesso; quindi appoggiava questa scaletta piccola alla montagna, saliva e quando arrivava al massimo piano raggiungibile con il suo mezzo, si accorgeva che su quel piano c’era un ascensore per la cima».

Hoppy

 

«Avevo creato questa vignetta circa 23 anni prima. Un giorno mi dissi: «Vedi? queste cose così esplicite ancora non riesci a condividerle sui social»; poi decisi di pubblicarla. Quel giorno mi scrisse una ragazza per dirmi che in quel periodo, con suo marito, avevano scoperto che il bambino che aspettavano non era sano. Non sapevano se tenerlo o no e, nonostante tutti intorno gli suggerissero di abortire, loro in realtà volevano tenerlo e quella vignetta li aveva confermati nella loro scelta Fu davvero molto bello. In quel momento mi resi conto di quanto una illustrazione, nonostante i miei tanti scrupoli, potesse servire a qualcun altro».

 

Per fare il suo lavoro, un’arma vincente è sicuramente la delicatezza. Quanto è importante la gestione di questo elemento nel tentativo di toccare il cuore dell’altro con i disegni?

«La delicatezza è un elemento importante sia per me, che per coloro che vedono i miei disegni. È importante per me perché a volte ci sono cose che vorrei condividere, ma per le quali è bene aspettare. Si tratta di avere una maggiore attenzione alla mia sensibilità anche a sfavore del successo. Allo stesso modo è importantissimo tenere conto di coloro che vedono ciò che pubblico, perché il linguaggio dell’illustrazione supera una serie di barriere, è molto diretto e può essere anche molto influente. Mentre in un confronto verbale, infatti, c’è la possibilità di uno scambio di vedute, attraverso una vignetta no. Il rischio, dunque, è quello di modificare la percezione della realtà di una persona. Occorre, perciò, tenere conto dei destinatari e delle conclusioni che quest’ultimi  potrebbero trarre da ciò che scelgo di mostrare e da come scelgo di farlo».

 

In uno dei suoi libri, uno dei protagonisti è “Il mostro”. Può raccontarci chi è?

«Il libro “Io e il mostro” racconta le vicende di una ragazzina e del suo mostro interiore. Il mostro era un personaggio che ho sempre disegnato, anche se in forma diversa, quando ero adolescente. Era una sorta di melma nera da cui non riuscivo a liberarmi e lo percepivo realmente così, come un malessere interiore che mi impediva di essere ciò che ero. Questo fino a quando, attraverso la terapia, ho capito che questa parte che consideravo auto-sabotante volesse dirmi delle cose importanti a cui non davo ascolto. Dal momento in cui ho smesso di fare la guerra a questa parte di me facendomi le domande giuste, questa figura ho cominciato a percepirla in maniera diversa, più di aiuto che di ostacolo. E così è diventata una sorta di angelo custode. Questo mostro, questa presenza, questa parte di noi, è custode di ciò che veramente siamo e non ci permette di fare altro se non quello a cui siamo chiamati per non andare troppo lontano dalla verità di noi».

 

Se dovesse dare un consiglio ai giovani di oggi per curare il loro benessere mentale, cosa direbbe?

«Cercate di identificare bene questo mostro interiore, di dargli una forma, una voce e se è troppo disturbante ancora di farvi aiutare ad ascoltarla. Quando ci si sente molto pieni di cose che non riusciamo a gestire e lottiamo con delle parti di noi, occorre non dare per scontato che siano solo parti negative. Ma a volte è necessario un intermediario per iniziare questo lavoro di pacificazione; è importante saper chiedere aiuto affinché ciò che della nostra vita abbiamo sempre giudicato come qualcosa da eliminare, possa diventare la risorsa sulla quale puntare per venire alla luce».

Psicologi si diventa

Ma come deve prepararsi oggi uno psicologo per poter accompagnare al meglio i giovani della società odierna? Quali sono gli aspetti sui quali puntare maggiormente? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Ricci, psicologo, psicoterapeuta e analista transazionale che insegna presso la facoltà di Scienze dell’Educazione della Pontificia Università Salesiana di Roma.

 

Sono emersi diversi temi importanti, quali la necessità di rimanere informati e formati per stare al passo con i repentini cambiamenti del mondo giovanile, l’urgenza di porsi accanto a loro coltivando le relazioni e affinando la capacità di ascolto per non perdere di vista i loro bisogni.

Ma un ulteriore aspetto, messo in risalto dal dottor Ricci riguarda l’ambito comunicativo. Si fa sempre più urgente la necessità di conoscere le nuove tecnologie poiché la sfera virtuale è la “nuova piazza” abitata dai ragazzi. Allo stesso tempo, però, occorre non perdere lo sguardo sulla realtà, perché mentre i giovani si lasciano travolgere dalle novità comunicative, restano, comunque, bisognosi di figure adulte che possano essere per loro riferimenti. A questo proposito, ha ribadito, quanto sia necessaria, soprattutto in un momento storico in cui gli adulti non riescono a sintonizzarsi con i giovani, la figura dello psicologo, all’interno di contesti educativi, che possa offrire ai ragazzi la possibilità di raccontarsi per aiutarli a riformulare la propria vita, e dunque, se stessi.

Il decreto attuativo relativo al Bonus Piscologo, dunque, per i giovani quale efficacia può avere?

La dottoressa Guzzardi ha posto in evidenza quanto esso possa essere un aiuto davvero valido per coloro che sentono la necessità di un sostegno psicologico, ma che magari non potrebbero permetterselo. Allo stesso tempo ha sottolineato quanto sia importante sensibilizzare la popolazione affinché tali fondi siano lasciati a disposizione di coloro che ne hanno realmente bisogno e non di tutti.

Il professor Ricci ha ribadito quanto la necessità di un sostegno psicologico sia sempre più in crescita nel nostro paese e quanto questo bisogno coinvolga sempre più la fascia giovanile. È importante, perciò, investire e strutturare risorse per prevenire il disagio e promuovere il benessere soprattutto di giovani e adolescenti poiché sono coloro che si trovano nel pieno della fase di costruzione della propria identità. «Il benessere mentale» – ha affermato – «è un punto che, nel nostro Paese, rappresenta un argomento ancora non pienamente affrontato, ma il cui sviluppo non può più essere rimandato. È necessario creare una cultura collettiva su questo tema che coinvolga tutti gli ambiti della nostra società: il bonus psicologico è un inizio da cui partire».

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