I due registi siciliani Fabio Grassadonia e Antonio Piazza esordiscono al Festival di Venezia con il racconto della latitanza di Matteo Messina Denaro, ispirato dai ritrovamenti di vari pizzini avvenuti a seguito della sua cattura, avvenuta nel gennaio del 2023. L’opera però non concerne direttamente la pura cronaca dei fatti e si sofferma sugli aspetti della personalità del Boss a lungo latitante e della risonanza che si era creata fino a quel momento.
Iddu è ambientato “da qualche parte in Sicilia” agli inizi del nuovo secolo, nel pieno della latitanza del figlio prediletto, Matteo (Elio Germano), e prende avvio dalla morte del padre Gaetano. Quest’ultimo lo aveva riconosciuto fin da piccolo come suo erede naturale e, pur non essendo il primogenito, era stato scelto scavalcando il fratello maggiore, privo di carattere, e la sorella, colpevole solo di essere donna in un mondo fortemente patriarcale.
In questo contesto compare Catello Palumbo (Toni Servillo), politico locale di lungo corso appena scarcerato in seguito a una condanna per mafia. Caduto in rovina e disprezzato da tutti, Catello, padrino di Matteo, per riprendere in mano la propria vita, accetta di collaborare con i servizi segreti alla cattura del latitante. Uomo di ampia cultura (era stato il preside della scuola), Catello viene usato come tramite nelle indagini, intrattenendo uno scambio epistolare con il boss, il quale risponde prontamente ai pizzini, aprendosi ad alcune confidenze che non riserva al resto della popolazione. In un ruolo dalle molte maschere, che oscilla tra il fidato collaboratore di giustizia e l’opportunista che mira solo ad avere un tornaconto, il personaggio manifesta e persegue così una palese ambiguità.
Sorprende la problematica che i registi hanno voluto far emergere del ruolo dei servizi segreti e della loro mancanza di limpidezza. Determinato resta solo il ruolo dell’agente Rita Mancuso (Daniela Marra). Dal carattere impulsivo e idealista, Rita prenderà l’iniziativa nelle indagini per colmare il fallimento dell’ultima operazione, da lei dipeso. I registi sospettano la mancanza di trasparenza all’interno dei servizi segreti e denunciano una “giustizia ad orologeria” al momento opportuno.
L’opera non presenta un esatto ritratto del personaggio di Matteo Messina Denaro, né il motivo della sua cattura. Realizzato principalmente sui dialoghi, sui rapporti umani (di fiducia e non) e sulla rete di controllo, Iddu ci fa capire sostanzialmente il motivo per il quale la latitanza del boss sia durata trent’anni. Con poche scene esplicite di mafia, il film ha preferito focalizzarsi sulla costruzione di un clima con persone che, tra una manipolazione e l’altra, vivono sul limite tra vita e morte come in una tragedia abitata anche da fantasmi.