17 Apr 2021

Il digitale: fonte di nuovi lavori, ma a rischio

Lo sviluppo di piattaforme digitali può fornire ai lavoratori, comprese donne, persone con disabilità, giovani e lavoratori migranti, opportunità di lavoro. ma rimette in discussione i diritti

Il mercato del lavoro è oggi profondamente segnato dal digitale. Al di là delle cosiddette aziende tradizionali, che hanno rapidamente integrato il digitale nella loro attività ordinaria per aumentare il reddito, stiamo assistendo alla nascita di nuove tipologie di lavoro, proprio grazie al digitale.

L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha realizzato uno studio su questo nuovo settore professionale, in particolare sulle piattaforme di lavoro digitali che sono principalmente di due tipologie: le piattaforme web online e quelle basate sulla geolocalizzazione. Le piattaforme web online offrono la possibilità di intraprendere il lavoro da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, mentre sulle piattaforme geolocalizzate il lavoro viene svolto in un luogo fisico specifico, ad esempio i servizi di taxi e di consegna merci, tra i più comuni. L’indagine, fatta su 12.000 lavoratori di 100 paesi, che lavorano su queste piattaforme, indica che le piattaforme di lavoro digitali si sono moltiplicate per cinque tra il 2010 e il 2020. Infatti sono aumentate da 142 a 777 e sono concentrate in pochi paesi come Stati Uniti (29%), India (8%) e Regno Unito (5%).

Il modello business delle piattaforme di lavoro digitali

Il modello di business di queste piattaforme si basa su tre caratteristiche che sono: l’introduzione della gestione algoritmica dei processi di lavoro e delle prestazioni;  l’organizzazione del lavoro, e la creazione di un doppio mercato del lavoro altamente segmentato

La prima, si concentra sull’assegnazione e la valutazione del lavoro, eseguite dai famigerati algoritmi. Ad esempio, per le piattaforme dei taxi, grazie agli algoritmi, pochissime persone riescono a controllare il lavoro di centinaia di migliaia di tassisti in tutto il mondo. Si tratta quindi di uno stile di gestione che «si discosta fondamentalmente dalle pratiche tradizionali di gestione delle risorse umane e può avere implicazioni per il futuro del lavoro», afferma il rapporto.

La seconda distinzione riguarda l’organizzazione del lavoro, che consente alle aziende di esternalizzare compiti e fornire serviz, senza dover investire in beni strumentali o sostenere costi operativi.

E la terza e ultima caratteristica è «la creazione di un doppio mercato del lavoro altamente segmentato, che si compone di due categorie: una piccola forza lavoro di base direttamente impiegata dalla piattaforma (impiego interno) e una grande forza lavoro in outsourcing il cui lavoro è mediato dalla piattaforma». I lavoratori della prima categoria hanno un rapporto di lavoro, mentre quelli della seconda sono classificati come lavoratori autonomi dalla piattaforma e non hanno alcun rapporto di lavoro. Questi ultimi, per accedere al lavoro, devono spesso pagare commissioni che vanno dal 20% al 35% del prezzo negoziato per il lavoro. Questi lavoratori indipendenti «hanno quindi solo l’80-65% del prezzo negoziato come reddito, il che ha implicazioni per la loro sicurezza del reddito», si afferma nel rapporto. La maggior parte dei lavoratori, si legge ancora, ha meno di 35 anni ed è altamente qualificata, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Gli uomini sono prevalentemente rappresentati in questo mestiere, rispetto alle donne che «rappresentano solo 4 lavoratori su 10 su piattaforme online basate sul web e 1 su 10 lavoratori su piattaforme geolocalizzate».

Un settore professionale sempre più in crescita

L’agenzia delle Nazioni Unite per il lavoro, riconosce che «lo sviluppo di piattaforme di lavoro digitali ha il potenziale per fornire ai lavoratori, comprese le donne, le persone con disabilità, i giovani e i lavoratori migranti, opportunità di generazione di reddito». L’analisi dei dati disponibili mostra che, in termini di occupazione, molte piattaforme online basate sul web e la geolocalizzazione sono micro e piccole aziende, che impiegano direttamente meno di 10 dipendenti, o da 11 a 50 dipendenti. D’altra parte, a livello di piattaforme di consegna e taxi, hanno più di 1.000 dipendenti. Uber, ad esempio, è uno dei più grandi datori di lavoro tra le piattaforme di taxi con 26.900 dipendenti, per lo più professionisti altamente qualificati come avvocati, esperti di marketing, ingegneri del software e tassisti che sono impiegati a tempo pieno.

Le piattaforme: fonti di occupazione e reddito 

L’agenzia delle Nazioni Unite per il lavoro, riconosce che «lo sviluppo di piattaforme di lavoro digitali ha il potenziale per fornire ai lavoratori, comprese le donne, le persone con disabilità, i giovani e i lavoratori migranti, opportunità di generazione di reddito». Queste opportunità di lavoro, afferma il rapporto, sono molto evidenti nei Paesi in via di sviluppo, portando «molti governi ad investire in infrastrutture e competenze digitali». Le aziende beneficiano di queste opportunità che il digitale offre in termini di forza lavoro. Le aziende, afferma il rapporto, possono «usare queste piattaforme per accedere al lavoro globale e locale per migliorare l’efficienza e la produttività, e per ottenere una maggiore portata di mercato».

Un’altra opportunità è quella di poter esternalizzare le attività. Le piattaforme digitali, infatti, consentono alle aziende tecnologiche, ad esempio, di affidare facilmente alcuni compiti a giovani laureati residenti in Paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di offrire loro opportunità di lavoro. Circa un terzo dei lavoratori delle piattaforme web afferma che lavorare sulle piattaforme è la loro principale fonte di guadagno; le proporzioni sono più elevate nei Paesi in via di sviluppo e per le donne.

L’analisi dei dati disponibili mostra che, in termini di occupazione, «molte piattaforme online basate sul web e la geolocalizzazione sono micro e piccole imprese, che impiegano direttamente meno di 10 dipendenti, o da 11 a 50 dipendenti» mentre le piattaforme di consegna e taxi impiegano più di 1.000 dipendenti. Il rapporto cita Uber come il più grande datore di lavoro tra le piattaforme di taxi con «26.900 dipendenti, per lo più professionisti altamente qualificati come avvocati, esperti di marketing, ingegneri del software e altri professionisti» per non parlare degli autisti, tassisti che sono dipendenti a tempo pieno.

Per le aziende, il boom digitale ha dato accesso a mercati più ampi. L’avvento del Covid-19, va detto, è stato pane benedetto per le strutture che operano nelle piattaforme di lavoro digitali. Le misure di contenimento adottate dai governi per rallentare l’andamento della pandemia hanno portato quasi tutte le istituzioni ad utilizzare mezzi digitali per continuare a lavorare (smart working). Ciò equivale a «rafforzare ulteriormente la crescita e l’impatto dell’economia digitale», afferma l’Ilo.

Esistono anche piattaforme che forniscono servizi di streaming video agli individui e alle imprese, e servono come piattaforme di social media, come YouTube, che non solo hanno creato opportunità, per i creatori di contenuti, di guadagnare entrate pubblicando video, ma stanno anche sconvolgendo l’industria della pubblicità. Per esempio, YouTube ha generato oltre 34 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie in tre anni.

Le piattaforme: i rischi

Mentre le piattaforme di lavoro digitali portano opportunità in termini di occupazione, presentano anche grandi sfide tra cui:

 

La sfida del crescente divario digitale. Il rapporto indica che le distribuzioni globali degli investimenti in piattaforme di lavoro digitali e i ricavi sono geograficamente ineguali. Infatti, «circa il 96% degli investimenti in piattaforme di lavoro digitali sono concentrati in Asia ($56 miliardi), Nord America ($46 miliardi) ed Europa ($12 miliardi), rispetto al 4% in America Latina, Africa e Stati arabi ($4 miliardi)». Inoltre, nel 2019, si segnala che queste piattaforme hanno prodotto almeno $52 miliardi di cui più del 70% era concentrato in due Paesi: Stati Uniti (49%) e Cina (22%), mentre la quota era molto inferiore in Europa (11%) e nelle altre regioni (18%).

 

Ripartizione dei dati sul lavoro digitale

Fonte: Rapporto sul ruolo delle piattaforme digitali nella trasformazione del mondo del lavoro

 

La sfida della disparità di trattamento salariale nelle regioni del mondo. L’indagine rivela che ci sono grandi differenze tra i redditi dei lavoratori delle piattaforme online nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Infatti, se la retribuzione oraria media nel corso di una settimana per le persone che lavorano su piattaforme online basate sul web è di $3,4, risulta che la metà di questi lavoratori guadagna meno di $2,1 l’ora e questi sono principalmente nei Paesi in via di sviluppo. Sulle piattaforme freelance, ad esempio, i dipendenti che vivono nei Paesi in via di sviluppo guadagnano il 60% in meno di quelli che lavorano nei Paesi sviluppati, sebbene svolgano lo stesso lavoro. La concorrenza dovuta a un eccesso di offerta di lavoro è una delle ragioni di questo svantaggio che subiscono quelli che vivono nei Paesi in via di sviluppo.

La sfida dell’orario di lavoro eccessivamente lungo. I lavoratori della piattaforma online lavorano 23 ore a settimana. Circa la metà di loro ha altri lavori retribuiti, lavorando in media 28 ore settimanali in questi lavori oltre al lavoro sulla piattaforma, il che può rendere la settimana lavorativa lunga. Alcuni lavoratori della piattaforma web devono affrontare orari di lavoro imprevedibili e orari non sociali, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, poiché i clienti hanno spesso sede nei Paesi sviluppati. Ciò può avere conseguenze negative sul loro equilibrio vita-lavoro.

Sulle piattaforme geolocalizzate, la maggior parte dei lavoratori lavora ad alta intensità e per lunghe ore, con una media di 65 ore settimanali nel settore dei taxi e 59 ore settimanali nel settore delle consegne. Sulle piattaforme di taxi e di consegna basate su app, un’alta percentuale di intervistati (79% e 74% rispettivamente) afferma di avere un certo livello di stress dovuto al proprio lavoro, spesso correlato alla congestione del traffico, retribuzione insufficiente, mancanza di ordini o clienti, lavoro prolungato ore, rischio di incidenti sul lavoro e pressione per guidare velocemente.

La sfida della mancanza di sicurezza sociale per molti lavoratori e questo colpisce particolarmente settori dei servizi di consegna basati su taxi e app, in particolare donne, che affrontano vari rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro. La mancanza di copertura sociale ha creato sfide significative per tutti i lavoratori delle piattaforme durante la pandemia covid-19, in particolare quelli sulle piattaforme geolocalizzate. In effetti, il rapporto indica che in questo periodo, «7 lavoratori su 10 hanno dichiarato di non essere in grado di prendere congedo per malattia retribuito, o di ricevere un risarcimento, nel caso risultassero positivi al virus, mettendo così in pericolo la salute degli altri oltre alla propria».

La sfida legata alla spinosa questione dello status giuridico dei lavoratori sulle piattaforme digitali. L’emergere di questo settore professionale non è stato purtroppo seguito da una regolamentazione giuridica in grado di definire lo status giuridico delle persone impegnate in questo settore. A questi professionisti, generalmente definiti in molte giurisdizioni come lavoratori autonomi, viene spesso negato il diritto di impegnarsi nella contrattazione collettiva, sulla base del fatto che la legge sulla concorrenza vieta ai lavoratori autonomi di intraprendere tali fasi, vale a dire di formare un contratto collettivo di lavoro. La seconda difficoltà è che sono geograficamente dispersi in tutto il mondo. Pertanto trascendono i confini nazionali. Ciò costituisce un handicap nella promozione di questa azione collettiva, dato che la legislazione internazionale non ha ancora affrontato questo caso specifico.C’è anche il riconoscimento da parte della legislazione nazionale dei diritti dei lavoratori, che non è facile. Il rapporto fa sapere che «i Paesi devono affrontare sfide nell’applicazione delle normative, in particolare per quanto riguarda le piattaforme online basate sul web, dove piattaforme, clienti e lavoratori si trovano in diverse giurisdizioni».

Per superare questa spinosa questione, l’agenzia delle Nazioni Unite chiede di «stabilire una forma di dialogo e coordinamento politico a livello internazionale», in grado di garantire «che i principi ed i diritti fondamentali all’opera dell’Ilo siano applicati a tutti i lavoratori delle piattaforme, qualunque sia il loro stato». A tal fine, l’Ilo offre due modelli: la Convenzione Ilo sul lavoro marittimo adottata nel 2006 e la Dichiarazione di principi tripartita dell’Ilo sulle imprese multinazionali e la politica sociale, adottata nel 2017. L’Ilo sostiene che questi due documenti, che hanno identificato lo status giuridico dei lavoratori a livello internazionale, potrebbero servire come modello per le piattaforme di lavoro digitale.

Con le piattaforme di lavoro digitale, l’accesso a posti di lavoro dignitosi e fonti di crescita economica è possibile come previsto dall’obiettivo 8 dell’Agenda 2030, che è «promuovere una crescita economica sostenuta, condivisa e sostenibile, occupazione piena e produttiva e lavoro dignitoso per tutti». Tuttavia, la conditio sine qua non per raggiungere questo obiettivo sarebbe quella di affrontare le varie sfide elencate dall’Ilo, che, va detto, costituiscono una sorta di sfruttamento dei lavoratori.

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