02 Giu 2014

Il futuro è dei giovani. O almeno di quelli che studiano

In Italia un ragazzo su cinque abbandona la scuola troppo presto. E così aumenta la diseguaglianza e la precarietà. Intervista con D. Guglielmo Malizia della Cei

L’anno scolastico si sta chiudendo e chissà quanti giovani non torneranno a scuola dopo le vacanze. Impressiona, infatti, il numeri di giovani che in Italia
abbandonano ogni anno la scuola. ne abbiamo parlato con Don
Guglielmo Malizia
, Direttore del Centro Studio per la Scuola
Cattolica-CEI (Conferenza Episcopale Italiana).

Da dove nasce il problema?

«C’è nel sistema sociale una diseguaglianza troppo forte, che va ridotta. C’è un
sistema politico che si deve chiedere se il sistema di istruzione e formazione riescono a educare cittadini consapevoli e partecipi,
capaci di un atteggiamento critico-costruttivo verso l’autorità
politica o se devono limitarsi a preparare sudditi sottomessi e passivi nei
confronti del potere. Nella scuola, l’influsso dei fattori economici tende
a ridursi, tuttavia nelle ultime decadi si è accentuato l’influsso del
retroterra culturale della famiglia: in particolare conta il titolo di
studio dei genitori. Pertanto, si può affermare che la diversa
condizione economica e in particolare culturale che caratterizza gli
studenti tende a incidere fortemente sul merito di ciascun allievo.
Per cui in Italia il sistema educativo continua a svolgere un ruolo
di riproduzione del capitale culturale che ogni alunno si porta in
classe».

Ci sono dati statistici?

«Tra i punti deboli della situazione italiana, emerge quello della percentuale di abbandono
scolastico e formativo tra i 18 e i 24 anni, che nel 2010 si
colloca al19% rispetto al 14 dell’Unione Europea (Istat 2012;
Censis,2011). L’insuccesso risulta particolarmente preoccupante negli
istituti professionali, con il 24% di non ammessi all’anno successivo, e
nei tecnici con il 18%.»

Quali sono, secondo lei, le cause e le conseguenze principali di
abbandono scolastico dei giovani?

«La dispersione scolastica diminuisce la mobilità
sociale, aumenta la disparità sociale, economica e culturale. Tra le conseguenze possiamo elencare anche la mancanza di sicurezza e le minori possibilità di
carriera futuro. In sintesi, una società con più diseguaglianze nei redditi e un futuro duro con una aspettativa basse».

Quali sono le sfide da affrontare?

«A partire dagli anni ’80 si è gradualmente realizzato un
allargamento del principio dell’eguaglianza delle opportunità
educative, caratterizzato prevalentemente dai tratti della quantità,
dell’uniformità e dell’unicità, fino a comprendere gli aspetti
della qualità, della differenziazione e della personalizzazione.
Pertanto, non basta assicurare l’accesso di tutti all’istruzione e
l’eguaglianza dei risultati fra i vari strati sociali, ma è
necessario garantire il diritto a un’istruzione e l’eguaglianza della
qualità. E anche garantire l’uguaglianza tra uomo e donna. Un altro orientamento è consistito nel potenziamento della
scuola come istituzione della comunità. La scuola deve divenire
scuola di tutta la comunità.
L’educazione sta assumendo una posizione centrale nelle società
complesse e multiculturali nelle quali viviamo. L’avvio del terzo
millennio si caratterizza per una vera esplosione delle conoscenze in
tutti i campi; in oltre parole, ricerca, sapere e formazione sorgono
a fondamento del sistema sociale e non sono più soltanto fattori di
sviluppo. Diviene cruciale l’acquisizione di una preparazione
culturale e professionale elevata e della capacita di auto-formazione
continua. I sistemi educativi si pongono con sempre maggiore
chiarezza l’obiettivo di portare tutti i giovani al livello più
alto di competenza.

Questa finalità, come ho già detto, si scontra tra l’altro con l’inquietante fenomeno
dell’insuccesso scolastico e formativo, e della sua distribuzione
diseguale nella popolazione giovanile secondo le caratteristiche come
la classe sociale, il sesso o l’origine etnica. Il problema è
mondiale».

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