I limiti continuano ad essere valicati, il gioco d’azzardo diventa una vera e
propria epidemia sociale. Il problema si estende in tutte
le regioni italiane, dalle grandi città ai piccoli centri urbani, mandando in
rovina tantissime famiglie. Colpendo senza distinzione di sesso, età e cultura.
Dimitri, 22 anni dice: “io non sono malato!”. Tuttavia chiacchierando con lui
emerge qualcosa di diverso. Con il suo viso teso e gli occhi fissi sulle
mani nervose continua: “gioco da due o tre anni, ho iniziato mettendo due euro
in una macchinetta e adesso ho perso il conto”. Quando gli chiediamo che
rapporto ha con il gioco, confessa: “sono felice quando vinco, ma quando perdo
mi dispiace molto ed è in quei momenti che vorrei smettere”.
Diversa
è la testimonianza di Francesco 58 anni, che da ex giocatore racconta la sua
esperienza vissuta, dalla quale emergono altri punti d’osservazione: “ho giocato
per quarant’anni, ho iniziato per scherzo con gli amici. Adesso gioco di meno,
le macchinette sono un’arma a doppio taglio, giochi venti euro, venti euro,
venti euro… giochi cinquecento euro e poi ne vinci cento! Uno che si alza la
mattina alle 5,00, per guadagnare cinque euro l’ora, non deve buttare i soldi
così”. E riguardo il problema della dipendenza dice chiaramente: “sono una droga!” dice, “un fatto psicologico, pensi che
il prossimo che gioca vinca al posto tuo e tu giochi altri soldi”.
Da
una recente indagine svolta dal Gruppo Abele, Auser Nazionale e in
collaborazione con Libera è emerso il rischio causato dal gioco d’azzardo: tra
i giocatori intervistati è risultato che il 14% è “a rischio”, ovvero con presenza di elementi problematici che
potrebbero nel tempo evolvere in situazioni più gravi; per il 16%, invece, il
gioco d’azzardo sembra già rappresentare un problema di gravità medio/elevata e
che richiederebbe un intervento specifico.
Il
gioco d’azzardo può creare una vera e propria patologia nota come ludopatia,
essa si definisce come l’incapacità di saper resistere agli impulsi del gioco,
a trascurare il lavoro, lo studio o persino a commettere dei furti pur di
raccogliere il denaro necessario per giocare. Secondo le stime, in Italia
soffrono di questa patologia 700mila persone. E ogni anno la cifra aumenta del
50%. Il gioco d’azzardo può generare dipendenza e questo lo conferma il parere
esperto della psicoterapeuta Laura Maresca: “generalmente si
parla di dipendenza associata ad una cosiddetta mentalità medica, attraverso la
quale si sono giustamente creati dei ritagli concettuali sulla base della
sintomatologia, quindi legata principalmente all’alcol e alla droga perché fanno
male. Questo non è sbagliato, ma ha creato un’opinione pubblica, secondo la
quale, quelle sono le dipendenze delle quali bisogna preoccuparsi. Esistono però
anche altre dipendenze di carattere emozionale, come le slot machine, che da un
punto di vista psicologico sono altrettanto gravi, poiché l’ottica psicologica
ha della dipendenza un’idea che si basa anche su un cattivo funzionamento dell’individuo nella
società, quindi da un punto di vista psicologico la dipendenza è l’incapacità
dell’individuo di saper vivere senza appoggiarsi a qualcos’altro”.
Si
sta diffondendo sempre più, l’idea che le slot
machine, siano la causa diveri e propri
disagi sociali. Volendo combattere questa piaga lo scorso settembre a Biella è
nata Slotmob, una campagna di sensibilizzazione contro l’uso delle slot
machine nei bar. All’iniziativa hanno aderito oltre 150 associazioni di
esercenti, che contestano il gioco d’azzardo nei loro locali, a scapito anche
del vantaggio economico.
La
signora Micaela Del Gaudio, gestrice di un bar di Roma, nel quale sono presenti
le slot machine, ha dichiarato: ”sono sempre più convinta di togliere quelle
macchine infernali, perché fanno perdere tanti soldi e fanno perdere la
stabilità delle persone”.
Le
iniziative sociali di mobilitazione sono importanti al fine di superare il
problema, ma è inevitabilmente necessario attivare dei processi di cura
individuale. Laura Maresca, a sostegno di quanto detto, afferma: ”innanzitutto sarebbe necessaria la prevenzione, ripristinando la figura dello
psicologo scolastico e dell’educatore, poiché è possibile prevenire molto bene,
quando il bambino è piccolo rispetto a quando è un adolescente che si porta dietro un
buco cosmico più difficile da elaborare. Una soluzione va cercata con molto
senso di responsabilità, con il supporto di figure più specializzate. Lo psicoterapeuta può intervenire, cercando di
lavorare su quel vuoto che ha portato la persona a cercare quelle compensazioni
che lo possano riempire”.