Il Pianeta che speriamo. Se le buone pratiche fanno la differenza

Dalle modifiche alla costituzione al condominio autosufficiente dal punto di vista energetico. Cittadini e governanti devono mettersi in gioco con scelte coraggiose

Twitter: @settsociali

È una delle importanti domande che sono risuonate nella seconda giornata della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani: le buone pratiche fanno veramente la differenza? Ha esplicitato bene questo dilemma Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, durante il suo intervento: «Queste cose che facciamo hanno solo un valore di testimonianza? Se ci dice bene, sono buone pratiche da proporre alle istituzioni? Oppure a questa frase possiamo togliere il punto interrogativo? Oppure queste cose effettivamente incidono?».

Le Settimane Sociali dei Cattolici italiani sono dei meeting organizzati dalla Chiesa cattolica italiana con una cadenza pluriennale. Si tratta di un convegno di giorni di studio, riunioni e discussioni finalizzate a “ispirare cristianamente la società”, come sintetizzò il cardinale Pietro Maffi nel 1907, quando si tenne la prima Settimana Sociale a Pistoia, organizzata dall’economista Giuseppe Toniolo.
La 49a edizione, con il titolo “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro #tuttoèconnesso”, si è tenuta a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021.

Era presente il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini che, sottolineando la gravità dei problemi ambientali, promuove da anni una modifica della Costituzione italiana: «Tra qualche mese forse, speriamo, questo Paese deciderà di cambiare la propria Costituzione. Cinque anni di battaglie per inserire in Costituzione il principio della giustizia tra generazioni». Giovannini infatti è co-fondatore dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che riunisce oggi oltre 300 istituzioni e reti della società civile con lo scopo di far conoscere l’Agenda 2030 e promuovere il raggiungimento dei suoi 17 obiettivi. ASviS ha sostenuto le modifiche di due articoli della Costituzione. «Si va a toccare l’articolo 9 e l’articolo 41», ha spiegato il ministro, «e si scrive, in questo nuovo testo, che l’attività economica non può andare a discapito della salute e dell’ambiente».

Le modifiche alla Costituzione approvate in prima lettura dalla commissione Affari costituzionali del Senato il 20 maggio 2021:

Art.9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

Articolo 41
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’attività sociale in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.

Le parole del ministro Giovanni (Twitter: @settsociali)

 

Il ministro Giovannini ha ricordato anche di quando, ancora studente universitario alla Sapienza di Roma, conobbe il rapporto del Club di Roma. «Quei problemi di quel libro del ‘76 (1972, ndr)» ha commentato, «sono oggi visibili a tutti». Quell’evento lo portò a sentire l’esigenza di cercare di dare un contributo diventando economista. Ha scherzato così: «Non devo aver dato un grande contributo evidentemente, vista la situazione in cui siamo. Però la speranza di dare un contributo nelle diverse funzioni a cui sono stato chiamato è sempre la stessa».

The Limits to Growth è un rapporto del Club di Roma – un’associazione non governativa e no-profit di scienziati ed economisti di tutto il mondo, che si occupa di indagare sui principali problemi dell’umanità, di prevedere scenari e di ricerca soluzioni – commissionato dal MIT (Massachusetts Institute of Technology). Fu pubblicato nel 1972 dai fratelli Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III. Era basato su una simulazione informatica e prevedeva le conseguenza della crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre. I risultati ottenuti nei vari scenari erano preoccupanti: si prevedeva che, con uno sviluppo costante come quello di allora (fondato su industrializzazione e sfruttamento delle risorse), l’umanità sarebbe andata incontro a un declino incontrollabile entro 100 anni e che, modificando i tassi di sviluppo, sarebbe possibile raggiungere uno stato di stabilità ecologica ed economica che consenta a ciascuna persona di avere uguali possibilità.

 Sul tema della tutela dell’ambiente, la diatriba tra chi sostiene l’inutilità delle scelte individuali, in paragone alle scelte politiche, e chi si adopera con la convinzione di contribuire a una svolta ha caratterizzato il dibattito degli ultimi anni. L’evento organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) sostiene però che “Tutto è connesso” e che “le buone pratiche costruiscono il pianeta che speriamo”, come riporta il titolo di una sessione della seconda giornata della Settimana Sociale.

Sembra tuttavia che una strada si sia delineata. Le buone pratiche insegnano o, come ha sottolineato Leonardo Becchetti, membro del Comitato Scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, nel suo intervento di presentazione, sono «ambasciatrici di un bene comune» e «non sono futuro, ma il presente». Becchetti ha messo in rilievo l’importanza di fare rete, di «essere comunità per costruire comunità», ricordando le parole di don Tonino Bello: «dobbiamo “organizzare” la speranza».

 

I buoni esempi

Sono state numerose infatti le testimonianze di chi si è adoperato per apportare un cambiamento. Francesco Carcioffo, amministratore delegato di Acea Pinerolese (in Piemonte), ha raccontato di come l’azienda abbia realizzato, con il progetto Energheia, un condominio autosufficiente energeticamente al 90%, mediante l’uso di tecnologie già perfettamente note, come isolamento termico e pannelli fotovoltaici. Un’impresa non sperimentale, non un prototipo, ma il presente.

Stefania Brancaccio, vice-presidente di Coelmo, ha condiviso l’impegno dell’azienda metalmeccanica, che produce gruppi elettrogeni nella Terra dei fuochi (Campania), nel rispettare l’ambiente con il riciclo dell’acqua, lo smaltimento attento dei rifiuti e autoproducendo l’energia elettrica per gli stabilimenti. Coelmo cerca di distinguersi per la cura dei suoi dipendenti e per gli sforzi nel ridurre il gender gap, per esempio, consentendo ai genitori di portare con sé i figli a lavoro. Si tratta solo di un paio di esempi, buone pratiche però che possono essere di «ispirazione, non da emulare», come precisato da Becchetti. Una mappa, realizzata dal comitato organizzatore delle Settimane Sociali, testimonia l’importanza di condividere gli sforzi positivi e consente la consultazione di tutte le realtà:

 

 

Perché bisogna agire in fretta

Forse veramente “le buone pratiche costruiscono il pianeta che speriamo”, perché si tratta di una messa in atto di buoni propositi e sentimenti di tutela e rispetto del creato. Lo stesso Carlo Borgomeo, in risposta al suo quesito iniziale, ha affermato che chi attua le buone pratiche «sta costruendo lo sviluppo». È vero che la situazione ambientale è ormai critica, come abbiamo cercato di raccontare qui, sebbene esistano ancora dei margini di manovra per salvare il pianeta dal collasso.

Sul riscaldamento globale, il gesuita ed economista Gael Giraud, che gestisce il Centro per la giustizia ambientale dell’Università di Georgetown (Washington), intervenuto durante la seconda giornata della Settimana Sociale, ha spiegato che «tre anni fa gli scienziati del clima hanno simulato l’evoluzione del periodo di combinazione letali di calore e umidità sul pianeta nel corso del secolo». È stato rilevato – e confermato dall’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – che, continuando a emettere CO₂, ci dirigeremo verso un surriscaldamento «di circa 4 gradi». La simulazione ha mostrato che «il 50% della massa terrestre sarà soggetta, per più di 20 giorni all’anno, a condizioni di calore e umidità letali», interessando circa «il 75% della popolazione umana».

«Non potremo ovviamente proteggerci con l’aria condizionata, che inquina molto», ha chiosato Giraud. «Ci saranno massicce migrazioni di popolazioni» residenti in aree terrestri sottoposte a un clima invivibile. Lo stesso Giraud ha confermato i risultati con il suo team di lavoro della Georgetown University, ribadendo però la possibilità di non incorrere in quest’incubo climatico se si riducessero drasticamente le emissioni di CO2.

Un cambio di passo per un sistema in crisi

Si tratta evidentemente di «un modello che scoppia, che non regge più», riprendendo le parole di Carlo Borgomeo: «Se qualcuno si illude che possiamo rimettere in piedi il vecchio meccanismo: il capitalismo inevitabilmente genera disuguaglianze, lo stato fiscale riesce a riequilibrarle. Siamo fuori tempo». Secondo Giraud «dobbiamo liberarci da una certa antropologia occidentale, rappresentata dall’Uomo vitruviano di Leonardo» che esclude «altre etnie, donne, bambini, anziani, malati, la natura» e si basa sulla «geometria, la tecnologia, la scienza». «Mi sembra», ha aggiunto, «che l’antropologia cristiana sia l’esatto opposto, che sia anche una cosmologia relazionale».

Il ministro Giovannini ha citato un rapporto degli economisti Blanchard e Torile, in cui essi stessi affermano che il modello secondo cui «prima pensiamo all’economia e allo sviluppo economico e poi all’ambiente e alle disuguaglianze è finito». Secondo Giovannini «è questo il momento della trasformazione», perché «il futuro non è sempre lineare» e «sarà pieno di shock, che possono essere anche positivi», ma «sta a noi trasformarli nel senso della resilienza».

Sulla stessa linea d’onda anche Giovanna Iannantuoni, economista e rettrice dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che ha espresso l’esigenza di «una transizione discontinua, non graduale». Ha evidenziato inoltre l’importanza di «garantire a ciascun individuo la capacità di crescere e formare se stesso in maniera libera» e «dare una formazione inclusiva», perché «il potere è cultura e la cultura è potere» e ha ricordato uno dei principi del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza): «L’economia circolare, che vuol dire dare una seconda e terza vita agli oggetti, è amore per il prossimo e qualcosa di profittevole per le imprese, non solo generosità».

Uno sguardo nuovo

Carlo Borgomeo durante il suo intervento

Per concludere, ha sintetizzato bene Borgomeo: «Il lavoro che si fa per il sociale, il lavoro che si fa per la valorizzazione dell’ambiente, non è cosa diversa dal lavoro per lo sviluppo. Significa che chi fa assistenza domiciliare agli anziani, chi gestisce un bene confiscato e fa inclusione di disabili psichici – e tante cose che fate – in quel momento non sta facendo solo un atto di solidarietà e lotta alle disuguaglianze, ma sta costruendo lo sviluppo».

La cultura affermatasi precedentemente, “la cultura dello scarto” (Papa Francesco) contro cui combattere, è incompatibile con la strada di uno sviluppo realmente sostenibile, racchiusa nelle parole ricordate da Borgomeo: «Là sta scritto che quelle pietre scartate diventano le pietre d’angolo. Questa è la grande questione».

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