Il ruolo delle religiose nella Chiesa sta cambiando. Ma c’è ancora molta strada da fare

Devono contare di più, ad esempio nella formazione dei sacerdoti. Ma i cambiamenti chiedono tempi lunghi. Intervista a Suor Sandra Del Bel Belluz

Akouvi Ahoefa Agassa/UNISAL

Suor Sandra Del Bel Belluz è superiora generale della Congregazione delle Suore della Provvidenza e membro dell’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia (USMI). È stata eletta a capo del suo Istituto da tre anni e vive nella casa generale a Roma.

La Chiesa come la società ha fatto un cammino nella valorizzazione della donna. Concretamente quale spazio le donne non hanno ancora conquistato nella Chiesa?

«Già da tempo si è incominciato ad affidare alle donne alcuni compiti, particolarmente nel governo della Chiesa. Secondo me basta continuare in questa direzione. È un cammino che si sta facendo e che occorre proseguire con coraggio e pace. Tuttavia la società, ovunque, anche nella Chiesa, è ancora fortemente maschilista. Quindi il cammino non è così avanzato, ma non importa, basta continuare a camminare».

Lei è Superiora generale della Congregazione delle Suore della Provvidenza. Potrebbe dirci chi è una consacrata (suora) e qual è la sua responsabilità nella Chiesa?

«Chi è una consacrata? si possono dire tante cosa a riguardo, ma io vorrei evidenziare solo un aspetto. Non so se sia proprio giusto dal punto di vista teologico, ma questo mi aiuta a vivere la mia scelta di vita con pienezza e senso. Per me la consacrata è una persona che consacra. Consacra che cosa? Il quotidiano, le cose che fa, le relazioni con le persone eccetera. Gli occhi che abbiamo per vedere, le orecchie per sentire, la voce per parlare, il cuore per amare: tutta la mia persona è consacrata a Dio. Quindi ho il compito di stare con Dio dedicando a lui la preghiera, il lavoro e qualsiasi altro impegno della giornata. Noi abbiamo come esempio concreto Maria, che non è stata ordinata sacerdote, come invece lo sono stati gli apostoli eppure lei ha fatto per la Chiesa molto più di loro. Quindi non dobbiamo aspirare secondo me -almeno io non aspiro- ad un ruolo particolare, come l’essere sacerdote. Per me non è interessante. Dobbiamo aspirare ad un servizio d’amore per gli altri e la consacrazione religiosa ci permette proprio questo. Anzi è la prima finalità. Questo è per me una consacrata.

La responsabilità di una consacrata è appunto quella di vivere santificando, consacrando con amore, le azioni della giornata. In questa maniera, essa è membro vivo e coerente in mezzo al popolo di Dio. Questa è la responsabilità della consacrata nella Chiesa».

La sua congregazione è sparsa dappertutto nel mondo. Ci sono dei luoghi in cui le suore sono molto impegnate nella pastorale? se sì, cosa fanno? e come vede il loro impegno? 

«Le suore sono impegnate tantissimo, nelle nostre missioni, accanto agli ammalati, agli anziani, ai giovani, ai bambini, sia nell’ambito sanitario ed educativo, che nell’accompagnamento verso una formazione professionale. Ma sono molto impegnate anche nella collaborazione con la Chiesa locale. Ad esempio dove non ci sono sacerdoti, le suore si impegnano per offrire celebrazioni liturgiche al popolo e per trasmettere la fede. Questo è bello ed è giusto e ritengo che sia bene continuare così. Dove c’è bisogno di impegno pastorale, è bene assumerlo».

Nonostante la presenza di tantissime consacrate con il loro impegno, la Chiesa si presenta ancora come una chiesa maschilista. Persino nei seminari la figura femminile nella formazione dei futuri sacerdoti è quasi inesistente. Qual è il suo parere?

«Nel passato le suore, non solo della nostra Congregazione, ma anche altre, hanno lavorato nei seminari qui in Italia e anche in Brasile. Hanno fatto più o meno le donne di servizio e questo non è stato tanto interessante né utile. Invece le suore della nostra Congregazione che hanno prestato servizio nel seminario di Pavia, oltre ad occuparsi della casa, hanno dedicato una cura davvero materna ai seminaristi e questa era anche la richiesta del vescovo. Ciò che conta, non è tanto il servizio all’interno della struttura, ma questo atteggiamento materno, accanto ad ogni seminarista. E questo è stato di un grandissimo aiuto nella formazione dei seminaristi. Anche recentemente ho incontrato sacerdoti, che in quel periodo erano seminaristi e ho potuto costatare quanto sia stata grande la bellezza e l’utilità della cura materna delle nostre suore verso di loro. Quindi, se attraverso un servizio le suore possono essere presenza materna, questo è valido. Ma se si tratta solo di compiere un servizio materiale, per non assumere altro personale, questo non serve. Non so come questo potrà realizzarsi oggi, ma so che la presenza della donna consacrata, magari non giovanissima, nella formazione dei futuri sacerdoti dovrà essere bella e importante».

Questa è stata l’esperienza del vostro Istituto nel seminario di Pavia. Ma da altre parti, la realtà non è la stessa. I seminaristi vivono in un ambiente tutto maschile e quando escono dal seminario si buttano nella società dove devono relazionarsi non soltanto uomini ma anche con donne. Oggi ci sono tante donne teologhe, che potrebbero intervenire proprio nella formazione dei sacerdoti con il loro genio femminile e dare il loro apporto materno anche nella trasmissione delle conoscenze ma in realtà è raro che qualcuna di loro sia impegnata in questo.

«Non c’è. Peccato. Spero che avvenga presto. Però ho visto che dove il contesto è più aperto, questa presenza ha incominciato ad esserci, mentre nelle società più maschiliste, non è pensabile ancora. Per quanto ci riguarda, ad esempio in Myanmar, abbiamo dovuto spostare la nostra casa di formazione anche per dare alle nostre giovani maggiore libertà e autonomia dal modo di pensare troppo maschilista, perché lì la parte maschile è iperpotente e presuntuosa».

Alla plenaria del dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, il 16 Novembre 2019, Papa Francesco ha detto: “dobbiamo andare avanti per inserire le donne nei posti di consiglio, anche di governo, senza paura”. Che ne pensa?

«Sono perfettamente d’accordo; ha ragione».

Ha l’impressione che la Chiesa sia pronta a questo cambiamento o ci vorrà molto tempo ancora perché avvenga?

«Dalla mia esperienza, so che i cambiamenti veri richiedono tempi lunghi. Quindi immagino che anche questo avrà bisogno di tempo. Però tutto si accelera, ed è probabile che questo cambiamento non richieda ancora tanto tempo. Non saprei valutare quanto».

Il 15 Gennaio 2020, Papa Francesco ha nominato Francesca Di Giovanni, Sottosegretario per il Settore Multilaterale della Sezione per i Rapporti con gli Stati, poi, il 07 Febbraio 2021, ha nominato Suor Nathalie Becquart, sottosegretario del Sinodo dei vescovi. Si può dire che Papa Francesco stia aprendo una nuova era innovativa in favore delle donne all’interno della Chiesa?

«Secondo me sicuramente sì. Immagino però, che anche lui riuscirà a fare quello che può, perché neanche il Papa, per quanto lo voglia, riesce a cambiare una società di colpo».

Con l’affermazione di Papa Francesco e le nomine fatte, si può percepire che egli apre una porta alle donne. Ma nello stesso tempo, sembra che le apra solo a metà. In particolare, considerando il sinodo sull’Amazonia, non ha approvato la proposta sul diaconato delle donne. Cosa ne pensa su questa considerazione?

«In particolare sulla proposta del diaconato delle donne, Papa Francesco ha detto delle cose interessanti. Due anni fa, durante l’incontro mondiale delle superiore generali, abbiamo avuto l’udienza dal Papa. Sull’argomento, preferisco essere precisa e riferirti le sue parole, perché è una domanda delicata. Quindi ti leggo quello che ha detto il Papa: “Quando mi avete suggerito di fare una commissione – perché l’idea è stata vostra – ho detto di sì, ho fatto la commissione, la commissione ha lavorato bene, erano tutti in gamba, uomini e donne teologi, e sono arrivati fino a un certo punto, tutti d’accordo. Poi, ognuno aveva la propria idea, così… si deve studiare la cosa, perché io non posso fare un decreto sacramentale senza un fondamento teologico, storico… Si andrà avanti, perché di qui a un po’ io potrei far chiamare i membri della commissione, vedere come sono andati avanti.”»

Come donna e consacrata, qual è la sua speranza o il suo sogno per la Chiesa di domani riguardo al ruolo della donna nella Chiesa?

«Che la donna, la consacrata, possa dare alla Chiesa il massimo di quello che il genio femminile può dare, con determinazione nel cammino intrapreso».

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