«La professione giornalistica potrà avere un futuro solo attraverso la riscoperta della sua utilità sociale. La tutela dell’ambiente è un tema privilegiato in questo percorso». Responsabilità dell’informazione durante alluvioni e disastri. Parte da questi presupposti la dichiarazione di Olbia, una carta deontologica elaborata dai giornalisti dell’Unione Cattolica Stampa Italiana. Il documento ha voluto far sintesi del convegno “Informazione e tutela dell’ambiente” svoltosi nel capoluogo gallurese alla luce dei temi rilanciati dalla Laudato Si’ di Papa Francesco.
«La professione giornalistica – si legge nel documento – è in evidente crisi ma conserva un ruolo insostituibile a favore della coesione sociale, della legittimazione della politica in contrasto con la regressione populista, della possibilità concreta di reinventare le ragioni di fondo della pace e del vivere civile, anche di fronte a fenomeni epocali come il riscaldamento globale e le migrazioni. Appare evidente che pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, e che la questione ambientale presenta un punto di rottura».
I giornalisti devono svolgere un ruolo importante nella risoluzione di questi problemi. «Il diritto alla terra e alla sua salvaguardia sono beni indisponibili. La corruzione e l’egoismo individualistico ne ostacolano il rispetto. Gli amministratori pubblici, gli imprenditori, chiunque abbia poteri rilevanti è chiamato a operare in modo trasparente e responsabile. I singoli cittadini devono maturare la consapevolezza che ogni nostra azione ambientale avrà conseguenze sul futuro dei nostri figli».
Compito dei cronisti non è rincorrere lo scoop dettato dall’editore ma costruire un rapporto di fiducia con i lettori/spettatori, denunciando i soprusi e mostrando i comportamenti virtuosi. «Noi giornalisti proviamo dunque a fare un esame di coscienza. Sappiamo svolgere il nostro ruolo di “cani da guardia” nella società civile? Ci limitiamo a rincorrere la cronaca, o facciamo un giornalismo di inchiesta, di investigazione, sui fenomeni che riguardano la vita di tutti? Di fronte ai fiumi che non si puliscono, ai ponti mal costruiti, alle costruzioni erette dove non dovrebbero esserci, raccontiamo o stiamo zitti? O piuttosto siamo portati a scaricare le responsabilità delle carenze informative sui nostri editori? Siamo convincenti nel mostrare modelli virtuosi di comportamenti pubblici e privati, o piuttosto consideriamo ogni doverosa attenzione educativa come estranea alla nostra missione professionale?»
Un’informazione corretta e a servizio della comunità richiede studio e approfondimento sul campo. «Per diffondere la nuova cultura ecologica i giornalisti devono approfondire le proprie competenze con un approccio interdisciplinare, e promuovere alleanze responsabili con chi analizza fenomeni complessi e fornisce interpretazioni e previsioni. In realtà, la professione giornalistica potrà avere un futuro solo attraverso la riscoperta della sua utilità sociale. I giornalisti devono maturare questa consapevolezza, impegnarsi a fondo reinventando il proprio ruolo al servizio delle comunità»
Da Olbia, simbolo di una feroce devastazione ambientale (nel 2013 il ciclone Cleopatra e più recentemente il ciclone Mediterraneo), i giornalisti cattolici propongono un nuovo modello di informazione responsabile. «La riflessione di Papa Francesco coinvolge tutti noi in questi doveri» ha affermato Andrea Melodia, presidente nazionale dell’Ucsi. «Reinventare il lavoro giornalistico come servizio della comunità vuol dire anche cambiare il modo in cui raccontiamo gli effetti delle alluvioni e i disastri ambientali preferendo la responsabilità alla spettacolarizzazione. Con un ascolto attento a chi analizza fenomeni complessi e fornisce interpretazioni e previsioni».