Professor Bianchi, lei è il vice-rettore della Pontificia Università Antonianum, oltre che preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità e docente. Come nasce l’Ateneo e qual è la sua finalità?
«La Pontificia Università Antonianum ebbe inizio nel 1887 come Studio Generale dei Frati Minori in Sede a Roma. Nel 1933, Pio XI l’ha dichiarata canonicamente eretta. Si è dovuto aspettare fino l’anno 1938 perché l’Università potesse conferire i gradi accademici di baccalaureato, licenza e dottorato. La PUA conta attualmente 4 facoltà: Teologia, Diritto Canonico, Filosofia e Scienze Bibliche e Archeologia, (quest’ultima attiva a Gerusalemme). Inoltre, c’è l’Istituto Francescano di Spiritualità che è un’istituto affiliato alla facoltà di Teologia ed è nato nel 1971. Compie oggi 50 anni ed è sorto come un’iniziativa dei Frati Minori Cappuccini con lo scopo di dedicarsi alla formazione permanente dei religiosi e approfondire temi correlati al francescanesimo».
L’arrivo della Pandemia in Italia ha messo a dura prova quasi tutto e tutti. Quali sono state le reazioni al Covid-19 e come si è organizzata l’Università Antoniana per rispondere a questa prova?
«La pandemia ci ha colti impreparati e abbiamo dovuto attrezzarci velocemente per rimediare la situazione. Nello scorso anno accademico abbiamo cercato di sistemare le aule per garantire il distanziamento con plexiglass. E durante il periodo del lockdown l’Università ha adottato l’uso della piattaforma Microsoft Teams. Nel frattempo i professori hanno partecipato a un corso di formazione promosso da un esperto in comunicazioni sull’uso delle nuove piattaforme digitali. Ciò ci ha aiutato a capire che la didattica a distanza (DAD) non è la stessa cosa che la didattica in presenza».
La DAD è stata appunto una delle misure prese dalle varie istituzioni accademiche per rispondere a questa emergenza. Come valuta l’uso di queste tecnologie nell’ambito educativo?
«La pandemia ci ha costretto a guardare intorno ed a esplorare nuove potenzialità, che altrimenti non avremmo preso in considerazione. La DAD, con il supporto delle nuove tecnologie, è stata provvidenziale in questo senso, giacché ci ha permesso di proseguire regolarmente con le attività accademiche programmate e senza grandi limitazioni. Ma soprattutto si è maturata la consapevolezza, che niente può sostituire il contatto diretto con i docenti e tra gli studenti e l’università come luogo di incontro e scambio».
E come è stata accolta dagli studenti?
«Bene, anche perché non c’era una grande possibilità di scelta. Ciò che ha anche reso possibile l’inquadramento di questa didattica è il fatto che l’Università si è affrettata a provvedere le apparecchiature necessarie, nonché la facoltà di utilizzo delle strutture e strumenti già messi a disposizione un po’ prima della pandemia».
Durante il periodo del lockdown la comunità accademica ha compreso la ricchezza del rapporto fisico tra docenti e studenti nel processo educativo. Come l’università è riuscita a compensare il vuoto creato del distanziamento sociale?
«Non siamo riusciti a riempirlo. E come ho detto precedentemente, il rapporto fisico tra docenti e studenti è naturalmente, insostituibile. Oggi ci rendiamo conto che questa è una realtà nuova, che ci chiama a una crescita costante. Tuttavia, nella mia esperienza come Preside, oltre ad usare la tecnologia, cerco anzitutto di rendermi disponibile agli studenti. Chiedo sempre, se ci sono problemi di contattarmi, eventualmente via mail, via telefono o WhatsApp per mantenere la relazione personale e anche più umana. Però, non è facile insomma, adattarsi pienamente».
In mezzo alla pandemia è emerso il tema della comune appartenenza al genere umano. Come Ateneo Francescano, che messaggio si intende trasmettere agli studenti sull’importanza della fratellanza universale?
«Questo è un tema molto importante che il Papa ha sottolineato nell’enciclica Laudato Si, nel senso che tutto è connesso e tutto è legato nella casa comune. Anche l’ultima enciclica Fratelli Tutti parla di questo tema della fraternita. È una sfida più importante perché entrambe le encicliche sono ispirate da Francesco d’Assisi, sia nel titolo sia nel contenuto. Come Università francescana ci sentiamo chiamati in causa, per approfondire queste tematiche. Anche la nostra Università è stata in qualche modo incaricata della Santa Sede l’approfondirle, in particolare le tematiche ecologiche. Per cui stiamo lavorando in particolare modo con la Laudato Si. Per questo motivo, l’università ha istituito una licenza in Ecologia Integrale che inizierà nel prossimo anno».
E per quanto riguarda Fratelli tutti?
«Pensiamo approfondire questo tema con l’introduzione di due corsi, che trattano della fraternità. Sentiamo che abbiamo una responsabilità particolare, come francescani, di corrispondere a questa attesa del Papa e di approfondire la riflessione sulla tematica della fraternità universale».
Guardando il futuro, quali sfide e perspettive aspettano il campo educativo, considerate le difficoltà e le opportunità offerte dello smart working durante il lockdown?
«Direi che di qualche modo abbiamo fatto dei passi di cui non si tornerà indietro. La Congregazione per l’educazione Cattolica ritiene che l’insegnamento in presenza rimanga quello da privilegiare, perché permette comunque una maggiore profondità. Ma il fatto di aver cominciato questa nuova modalità, ci fa vedere anche tutte le altre potenzialità. Già prima della pandemia ci venivano richieste di istituire qualche proposta online. C’è una aspettativa e una richiesta sia per quanto riguarda le Clarisse di vita Contemplativa, sia per quanto riguarda laltre persone, che magari non possono venire a Roma, ma avrebbero il desiderio di accogliere il nostro insegnamento. Questo è un punto su cui certamente siamo chiamati a lavorare».
Che consigli lascia agli studenti che, condizionati dalla pandemia o trovatisi immersi nell’epoca digitale, si formano sullo schermo?
«Questo è un punto su quale non è facile trovare una risposta. Dico ai giovani di oggi di non accontentarsi solo di questa modalità; di cercare per quanto possibile anche vie diverse, cioè, quelle della relazione umana e personale che rimane fondamentale. Quindi, bisogna non abituarsi a questa modalità. Sfruttarla per la positività che ha, senza che qsostituisca la relazione personale, anche se c’è il rischio, appunto, di abituarsi, anche per una sorta di pigrizia. Per esempio quando ai nostri studenti abbiamo prospettato che al secondo semestre avremmo ripreso in rpesenza, qualcuno ha detto: “ma è così comodo stare studiare della mia stanza”. Capisco che ci sia una maggior comodità, ma si rinuncia a dimensioni che rimangono insostituibili».
Un’ultima parola?
«Ringrazio per questa intervista, che mi ha in qualche modo costretto a una riflessione più precisa su temi su cui ancora non c’è chiarezza».