Quanti
giovani oggi usano le tecnologie come smartphone e tablet? E quanti
hanno consapevolezza del loro uso “smisurato”? Queste sono
delle semplici domande che noi studiosi di psicologia ci poniamo
dinnanzi a fenomeni che osserviamo nella realtà quotidiana e con
grande rammarico ne cogliamo l’essenza, per cercare di capire cosa
si nasconde dietro ad un comportamento socialmente condiviso e
perpetrato nel tempo, con ricadute sul piano della relazione e la
comunicazione face
to face.
La nomofobia
non
è la paura delle regole, ma un “portamentau”, una parola
macedonia, un neologismo sincratico che contiene il gioco di parole
anglosassone no-mobile
più il termine greco fobia. In poche parole, una paura di una nuova
generazione: quella di non avere il cellulare a portata di mano, di
non poter chiamare e ricevere telefonate, di non essere liberi di
wattsappare
o compulsare nervosamente lo schermo dello smartphone alla ricerca
degli ultimi aggiornamenti dagli amici o dai followers.
Lo studio di
questa condizione è ad opera del Dottor David Greenfield, professore
di Psichiatria presso l’Università del Connecticut, un’autorità
riconosciuta a livello internazionale per il trattamento delle
dipendenze da internet e tecnologie varie, tra l’altro autore del
libro Addiction virtual, la descrizione appunto della
dipendenza delle tecnologie e l’impatto sul comportamento umano.
La
nomofobia,
quindi,
intesa come il sottoinsieme della dipendenza da Internet: infatti
gli smartphone e i tablet non sono altro che semplici punti di
accesso alla rete e tale facilità non fa altro che peggiorare le
cose. I giovani non riescono nemmeno ad uscire di casa senza il loro
terminale, oppure a seguire una lezione a scuola o all’università.
L’innovazione tecnologica, quando è accessibile a tutti, comporta
un indubbio miglioramento della qualità della vita e delle persone
che la utilizzano. I vantaggi però possono sfociare in una vera e
propria psicopatologia, se legati ad un uso mal adattivo dello strumento
tecnologico, come nel caso del cellulare.
Ansia, disagio, nervosismo
e angoscia sono i sintomi causati dall’essere fuori dal contatto
con un telefono cellulare o un computer, emozioni negative
sproporzionate rispetto alla reale situazione di pericolo personale,
ma che per questo motivo diventano patologiche. Infatti,
Greenfield ed altri studiosi raccomandano l’introduzione della
nomofobia
nel
novero delle nuove paure e la sua comparsa nella “bibbia” degli
psicologi e psichiatri, il DSM-5.
Ma
come si riconosce un malato di nomofobia?
Ecco
alcuni comportamenti a rischio del cellulare-dipendente:
A. Usare
regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di
esso, avere uno o più dispositivi, portare sempre un caricabatterie
con se stessi;
B. Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio
portatile o quando il telefono cellulare non è disponibile nelle
vicinanze o non viene trovato o non può essere utilizzato a causa
della mancanza di campo, perché la batteria è esaurita e/o c’e
mancanza di credito, o quando si cerca di evitare per quanto
possibile, i luoghi e le situazioni in cui è vietato l’uso del
dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti, teatri e
aeroporti).
C.
Guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati ricevuti
messaggi o chiamate. Si tratta di un disturbo definito ringxiety
mettendo insieme la parola squillo in inglese e la parola ansia.
D. Mantenere
il cellulare acceso sempre (24 ore al giorno), dormire con il
cellulare o tablet a letto.
Nel
momento in cui si percepisce che i dispositivi elettronici prendono
il sopravvento nella nostra vita quotidiana,
rieducarsi,
è un primo importante impegno affinché non siano essi a
controllarci, ma noi a gestirli in modo sano e proficuo.
Quali
sono allora i piccoli obiettivi da porci per promuovere la nostra
salute mentale?
A. Avere
un monitoraggio delle connessioni durante l’arco della giornata,
evitare di trascinarsi dietro cellulari, tablet e iphone nei luoghi
sociali come piazze oppure a casa, in modo da trascorrere più tempo
nelle conversazioni reali.
B. Programmare
un uso dei dispositivi, in modo da ridurlo e concentrarlo solo in
alcune ore della giornata. Questo fa sì che ci si depuri dall’uso
ossessivo-compulsivo di questi strumenti che causano ansia,
nervosismo e disagio relazionale e comunicativo.
C. Sviluppare
le proprie abilità socio-relazionali, riprendendo vecchie abitudini
come fare una passeggiata insieme ad alcuni amici, organizzare tornei
sportivi oppure vedere insieme un film e discuterne scambiandosi
opinioni in merito, in modo da ridurre piacevolmente la dipendenza
dal mondo virtuale.
D. Qualora
la nomofobia
sia associata
ad un’ansia persistente e alla paura di rimanere soli è utile un
sostegno, pertanto si consiglia di consultare uno psicologo esperto
nel trattamento e rieducazione delle addiction-virtual.
Oggi
bisogna aiutare i giovani a riscoprire e potenziare le capacità
maieutiche, insegnare loro la meditazione, in modo che possano
riappropriarsi di quella consapevolezza che la cultura dell’apparire
e del mondo virtuale gli ha tolto, restituendo loro vivacità mentale
attraverso canali comunicativi dove l’elemento umano e la
condivisione delle emozioni siano da monito nelle conversazioni reali
e quotidiani.