Viviamo nell’era di Internet, la tecnologia che sta rapidamente rimodellando la nostra società, ma non senza conseguenze negative. Uno dei più preoccupanti di questi è il più ovvio: le persone stanno diventando dipendenti.
Secondo gli ultimi numeri Eurostat, l’81% dei cittadini dell’UE utilizza Internet almeno una volta alla settimana e il 72% lo utilizza quotidianamente, ma i giovani di più. Dal rapporto del Censis, in Italia, il 90 % dei giovani usa Internet.
La dipendenza da Internet tra i giovani è una sfida e solleva numerose domande, provocando discussioni sulla portata e sui meccanismi di questo processo.
I segni classici della dipendenza da Internet includono: pensiero costante sulle attività online, tempo prolungato di impegnarsi in attività online senza ragionevole necessità; difficoltà di autocontrollo quando si tratta di tempo trascorso su Internet; mancanza di interessi in cose al di fuori della rete e limitazione delle interazioni sociali a beneficio delle attività online; usare Internet per dimenticare aspetti negativi nel mondo reale; la frequenza di utilizzo dei media tenuta segreta dai propri cari.
In realtà il termine “dipendenza da Internet” è molto ampio e copre diversi tipi di dipendenze mediate dai media elettronici.
Tra queste c’è la FOMO (Fear Of Missing Out), cioè la paura di essere tagliati fuori, particolarmente evidente tra le giovani generazioni, in parte grazie alla divulgazione degli smartphone: secondo la Censis, L’89.8 % dei giovani usano telefono cellulare. La FOMO, secondo fonti recenti, affligge più della metà degli utenti dei social network, che sono di più i giovani.
La FOMO è un’ansia sociale ubiquitaria e dai contorni molto sfumati: va dalla paura dei giovani di essere davvero “tagliati fuori” da esperienze che i loro pari possono star facendo senza di loro, a una perenne sensazione di non aver fatto la scelta giusta, perché c’è sempre qualcuno online che sembra si stia divertendo più di loro, al controllare più volte al giorno il cellulare per la paura di perdersi qualche interazione digitale gratificante. A tale proposito Apple nel 2013 ha rilasciato dei dati mostrando che i suoi utenti sbloccano il dispositivo in media 80 volte al giorno; nel frattempo gli utenti Android lo fanno più di 110 volte al giorno. Il primo a utilizzare l’espressione “Fear of Missing Out” fu Patrick McGinnis, studente della Harvard Business School, che nel 2004, in un editoriale per la rivista studentesca Harbus, descrisse appunto come le due forze che guidavano i programmi sociali degli studenti fossero la “Fear Of Missing Out” e la “Fear Of Better Option” (la paura che ci sia sempre un’opzione migliore di quella che si ha davanti e alla quale, per questo motivo, si rinuncia). Per una decina anni, non se ne è più sentito parlare, fino al 2013 circa, quando il ricercatore Andrew Przybylski ha pubblicato un articolo che ancora adesso è considerato una lettura imprescindibile per chi voglia documentarsi sulla FOMO.
In generale, FOMO induce le persone a convincersi di avere un basso rango sociale. Questa convinzione, a sua volta, può creare ansia e sentimenti di inferiorità. Inoltre, FOMO è particolarmente comune tra le persone di età compresa tra 18 e 33 anni. In effetti, un sondaggio ha rilevato che circa i due terzi delle persone in questa fascia di età hanno ammesso di sperimentare FOMO regolarmente.
Perché le persone sperimentano FOMO?
Storicamente, le persone sono sempre state preoccupate per la loro posizione sociale. Ma con l’avvento dei social media, FOMO è diventato un problema ancora più grande soprattutto per i giovani che sembrano essere sempre online, controllando gli aggiornamenti di stato e i post dei loro amici. Quindi, quando i giovani perdono una festa, non vanno in vacanza in famiglia un’estate, possono sentirsi un po’ meno fighi di quelli che l’hanno fatto e pubblicato foto online. Il rapporto della Censis a tale proposito rivela che l’influenza dell’uso dei media personali sui fattori di identificazione e sul senso di appartenenza, cioè il rapporto tra media digitali e formazione delle identità personali, risulta molto alto specialmente nella fascia di età 30-44 anni (56,9 su una scala 0-100), e tra i più giovani (53,9).
Inoltre, una ricerca suggerisce che le persone che sperimentano la FOMO valutano maggiormente i social media.
Alcuni psicologi suggeriscono persino che la “paura di essere tagliati fuori” è ciò che rende le piattaforme di social media così efficaci. Ad esempio, sostengono che la FOMO spinge le persone a utilizzare la tecnologia per far conoscere agli altri non solo ciò che stanno facendo, ma anche quanto si divertono.
Le conseguenze di FOMO
Se si chiedesse ai giovani se provano ansia sui social media, la maggior parte risponderebbe di no. Ma ciò che non capiscono è che, se sono stressati o preoccupati per ciò che vedono online, probabilmente stanno vivendo la FOMO, specialmente se sono molto online.
Il problema è che l’incessante preoccupazione per quello che fanno gli altri, fa sì che i giovani perdano ancora di più la propria vita. FOMO spinge le persone a mantenere la propria attenzione focalizzata verso l’esterno anziché verso l’interno. Questo, a sua volta, può far perdere loro il senso di identità e lottare con scarsa autostima. Uno studio ha scoperto che più le persone usano Facebook, peggio si sentono. Un altro studio ha scoperto che un terzo delle persone si sentivano peggio mentre erano su Facebook, specialmente se stavano visualizzando le foto delle vacanze di un’altra persona.
Come superare la FOMO
In un recente studio intitolato “No More FOMO” i ricercatori hanno iniziato a scoprire l’impatto della disconnessione dei giovani. Il team ha monitorato 143 studenti universitari presso l’Università della Pennsylvania per una settimana. Hanno registrato le abitudini tipiche dei social media degli studenti. Successivamente, i partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a uno di due gruppi. Un gruppo ha ridotto l’utilizzo di Facebook, Instagram e Snapchat a 10 minuti, per piattaforma, al giorno. L’altro gruppo ha continuato a utilizzare i social media come al solito. Dopo tre settimane, il gruppo ad uso limitato ha mostrato significative riduzioni della solitudine e della depressione, rispetto al gruppo di controllo.
Inoltre, entrambi i gruppi hanno mostrato una significativa riduzione dell’ansia e della paura di perdersi. I partecipanti a cui non è stato chiesto di limitare il loro uso hanno comunque sperimentato i benefici di una maggiore consapevolezza sui social media. I ricercatori hanno concluso: “I nostri risultati suggeriscono fortemente che limitare l’uso dei social media a circa 30 minuti al giorno può portare a un significativo miglioramento del benessere”.
Tuttavia, invece di essere una paura, la perdita può essere fonte di gioia, come spiega in un video Svend Brinkmann, professore di Psicologia alla Aalborg University e autore di “The Joy of Missing Out”.