Che lo stato della libertà d’informazione nel nostro Paese (come d’altronde di altri in occidente) sia ormai critico, ce lo testimoniano diversi aspetti. Il rapporto critico con il potere costituito; la concentrazione di proprietà di testate, a discapito del pluralismo; la perdita di lettori dei giornali cartacei e l’aumento del – diciamo così – approccio informativo (il Censis la chiama “dieta mediatica”) soprattutto per i più giovani; l’esplosione dell’IA soprattutto nei contenuti prodotti e (a volte) spacciati come originali; il contributo dei cosiddetti free lance, ossia i collaboratori giovani che rischiano in proprio per fare servizi delicati, ma che comunque vengono retribuiti poco o pochissimo; l’aumento (non sempre contestato) delle fake news e così via…
Sono solo alcuni elementi che fanno capire quanto la professione del giornalista, e in generale del comunicatore, libero da vincoli di “produttività condizionata”, sia un’esigenza fondamentale per contribuire a far crescere un cittadino informato e consapevole, in grado di governare il suo diritto alla partecipazione democratica, non come un espediente da concretizzare una volta ogni tanto (il giorno del voto), ma costantemente, nella quotidianità delle scelte micro e macro della sua – inevitabile, a meno di scelte radicali – vita sociale.
Eppure la libertà di stampa sembra essere in declino in Italia e nel mondo. Come ogni anno l’associazione Reporter Senza Frontiere (RSF) registra una classifica che poi pubblica in un report sulla libertà di stampa Paese per Paese. L’Italia, ha nell’anno scorso (classifica di maggio 2024) perso 5 punti, precipitando alla 46a posizione. Certo stiamo meglio di alcuni paesi autocratici o dittatoriali. Ma questo non ci deve consolare. Non siamo in una buona posizione.
Ecco perché il sindacato dei giornalisti (FNSI) si sta muovendo per chiedere interventi importanti.
Di solito sentire parlare di sindacati in questa stagione politica, rende quanto meno sospetti o persino perplessi. Perché erroneamente si pensa alle corporazioni protese a difesa di privilegi di parte. Ma non è affatto così. Se nel corso dei secoli i lavoratori hanno potuto fare valere diritti e prerogative a favore di tutto l’interesse generale, è proprio grazie a chi, collettivamente, lo ha fatto in trasparenza e legittimità. Pagando di persona. È così a maggior ragione per la libertà d’informazione che, manco a dirlo, è priorità per tutti e tutto.
Cosa chiedono allora i giornalisti? Un impegno fondamentale e strategico. In poche parole: servono «norme per favorire soprattutto il rilancio economico del settore, anche a tutela della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione, che mettano al centro l’importanza sociale del giornalismo professionale di qualità». E aggiungono: «servono norme che garantiscano l’informazione italiana dalla pirateria digitale degli Over the top e contro il dilagare delle fake news». «L’unico antidoto contro la guerra a bassa intensità delle notizie false – sottolineano -lanciata contro il nostro Paese negli ultimi anni è avere un giornalismo di grande livello e di qualità professionale. Le sole caratteristiche che possono salvare l’informazione anche dai rischi connessi all’intelligenza artificiale». Non si può che essere d’accordo.
Soprattutto, infine, quando si ascoltano con attenzione le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pronunciate in occasione di un recente incontro con una delegazione delle agenzie di stampa europee. Mattarella ha sottolineato che «la libertà e il pluralismo dei media garantiscono il pieno dispiegarsi di alcuni dei diritti irrinunciabili per la democrazia e la misurazione della sua qualità: il diritto alla libertà di espressione e di informazione. L’informazione libera, indipendente e plurale è un diritto dei cittadini, un dovere per tutti esigerla. È l’antidoto per contrastare fenomeni manipolativi».
Un “dovere per tutti”. Mi sembrano parole chiare, che richiedono una risposta attiva. E senza accampare alibi di sorta.