La marcia degli scalzi, a Roma vincono ancora solidarietà e accoglienza

Il messaggio di speranza arriva da 61 città in tutta Italia e nella Capitale sono più di 2000 i manifestanti scesi in piazza. Cittadini e migranti, tutti uniti da ideali di uguaglianza, rispetto e amicizia. E' la marcia degli uomini e le donne scalzi. A piedi nudi come chi ha perso tutto

L’Italia a piedi scalzi per i migranti. Da nord a sud è la Primavera delle coscienze quella che sboccia in un venerdì di settembre; un grido di speranza e umanità, per chiedere aiuti concreti e un’accoglienza degna e rispettosa per le migliaia di persone che ogni giorno cercano asilo nel nostro continente. L’11 settembre, giornata simbolica per eccellenza, diventa così l’occasione per una vera mobilitazione generale. Da Milano a Pozzallo, passando per ben 61 città del nostro Paese, lo stivale è il primo a togliersi la calzatura, rendendosi protagonista della “Marcia delle donne e degli uomini scalzi”. Un successo nazionale, dimostrazione di un’Italia ancora capace di scendere in piazza e dire la sua, in grado di esprimere piena solidarietà ai più bisognosi.
 
L’iniziativa, lanciata dal Festival del cinema di Venezia ha subito ricevuto tantissime adesioni dal mondo dello spettacolo, ma i consensi arrivano anche dalla politica e in particolare dal mondo dell’associazionismo, da sempre sensibile al tema dell’immigrazione. Profughi, rifugiati, richiedenti asilo, cittadini italiani e non, semplicemente persone che hanno deciso di manifestare uniti da ideali di uguaglianza, rispetto, e amicizia. Scalzi come chi ha perso tutto, come chi corre per superare confini e frontiere. In cammino, come le migliaia di profughi che a piedi, ogni giorno, percorrono chilometri solamente per la speranza di un futuro migliore. Insieme hanno chiesto la certezza di corridoi umanitari per i rifugiati, ma anche un’accoglienza degna e rispettosa della persona e la chiusura di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti. L’obiettivo? Creare un vero sistema unico di asilo in Europa, con la speranza che l’Unione ritrovi quei capisaldi che l’hanno fondata, con i diritti umani di nuovo al centro.
 
A Roma la marcia è partita, non a caso, dal Centro Baobab di via Cupa, luogo simbolo dell’accoglienza ai migranti nella Capitale. (Qui la fotogallery dell’evento) Il centro nel quartiere Tiburtino ha visto arrivare da Maggio 2015 oltre 26 mila migranti e ha dato loro un tetto dove dormire. Un’emergenza che ha coinvolto i tanti cittadini volontari che concretamente hanno aiutato donando cibo, abiti e medicine, e prestando supporto medico, legale e psicologico. Il tutto senza accettare né donare soldi, mettendo a disposizione esclusivamente le proprie risorse e il proprio tempo. “Il centro è sempre stato un riferimento per questo quartiere, polo di attività culturali e di svago – ci racconta Patrizia Paglia, presidente dell’associazione “Gli amici del Baobab”ora con questa emergenza migranti ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo aiutato accogliendo migliaia e migliaia di persone bisognose. Il comune non ci aiuta in termini economici, ha fatto un piano sanitario con l’Asl, ma continuano a dire tutti che chiuderemo. Qui non c’è nessuno che fa questo lavoro e fino a che dura questa emergenza noi ci saremo”.

Abdul, 30 anni, è uno dei tanti ragazzi aiutati: viene dal Gambia e anche lui è arrivato in Italia in uno dei tanti viaggi nei barconi della speranza. Quella però è stata solo l’ultima tappa dell’impresa; prima ha attraversato 5 mila chilometri d’Africa per raggiungere la Libia, la costa più vicina alla Sicilia. La maggior parte delle persone aiutate dal Baobab viene dall’Eritrea e sono proprio loro a guidare la marcia al grido di “No Border”, tradotto: no frontiere, confini, muri. Non solo materiali. La risposta degli abitanti del quartiere è emozionante: li abbracciano, li sostengono e li ringraziano perché danno loro l’opportunità di mostrare un volto del Paese sano, pulito e non razzista. Gli striscioni che reggono fieri, come dei vessilli recitano: “L’immigrazione non è un reato” e “Le persone, prima delle frontiere”. “Stay Human” è lo slogan più utilizzato dal nutritissimo gruppo di manifestanti, perché lì in mezzo siamo tutti esseri umani, con pari dignità e diritti in un melting pot eccezionale di colori e sfumature, di abiti, usi e costumi.

“Roma è la città dell’accoglienza, la culla della cristianità – sostiene ai nostri microfoni Lidia Borzì, la presidente delle Acli di Roma (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani) – Questa è una città simbolo per la solidarietà. Tutti questi cittadini, insieme agli amici che arrivano dagli altri paesi vogliono manifestare perché bisogna organizzarsi e accogliere degnamente. Ognuno di noi, cittadini, organizzazioni e istituzioni deve fare la sua parte con gesti concreti e tangibili. Le Acli di Roma forniscono il pane quotidianamente al Baobab, ai transitanti di Tiburtina e ad altri 1500 poveri. Pane che altrimente andrebbe al macero”.

Un grande impedimento all’integrazione viene anche dalle leggi, che purtroppo in questo senso non aiutano. Oggi i centri di accoglienza non possono far lavorare i migranti, responsabilizzarli nella vita della comunità rendendoli un valore aggiunto. I numeri dell’Oim (l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) crescono intanto di giorno in giorno. Sono 432.761 mila i migranti arrivati dal Mediterraneo in Italia, Spagna, Grecia, e Malta nel 2015, mentre il conto di chi ha perso la vita è salito a 2748. L’Europa se ne è accorta: non si può più assistere inermi ad un traffico di uomini, donne e bambini e al rifiuto di accoglierli. Gli scalzi, con una semplice marcia hanno dato il segnale più umano: “Noi stiamo con loro”. Del resto, pare un gesto umano, quasi scontato, eppure qualcuno storce ancora il naso. La risposta più significativa la lasciamo ad Abdul e al suo cartello, che tiene alto con orgoglio: “Quante strade deve percorrere un uomo prima che tu lo possa chiamare umano?”

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