La musica del silenzio

In occasione della visita di Giovanni Allevi all'Università Pontificia Salesiana, una riflessione sul ruolo della musica classica per i giovani

Un brusio di parole, sguardi, gesti sorveglia la porta chiusa
dell’aula Paolo VI.

All’interno, un silenzio di attesa accompagna Allevi. Il contrasto è
forte.

Mi faccio spazio tra la folla di ragazzi venuti per l’evento ed
osservo. Ho quasi paura di chiedere il vero motivo per cui sono
rimasti qui oggi: non ci sono lezioni in aula, quindi chi è presente
deve avere una buona scusa per aspettare in piedi che succeda
qualcosa. Che sia solo la curiosità, il desiderio di strappare un
autografo ad un tizio presumibilmente famoso?

 

«Si, siamo qui per
ascoltare Allevi.
 È una settimana che aspetto questo momento, quando
mi ricapita di sentire buona musica gratis, e con il commento
dell’artista dal vivo?»
Risponde ai miei dubbi un ragazzo con camicia a quadri e Rayban sulla
testa. Sul serio? Guarda che siamo tra ragazzi, puoi essere sincero
ed ammettere che sei stato trascinato dalla ragazza di turno, penso
io.


«Guarda
che a noi la musica di questo tipo piace.
Lo ammetto, sono stata io
ad influenzarlo per essere qui oggi, però ti confermo che Allevi ci
coinvolge e lo ascoltiamo con piacere. Ok, non ci ricordiamo i titoli
delle sue canzoni, nemmeno gli album, però è una musica che
rilassa, ad esempio io la uso come sottofondo per studiare»,
mi conferma la ragazza vicino a lui. Un’altra ragazza con capelli
biondi lunghissimi interviene nella discussione: «Si, il problema
della musica di questo tipo è che non ti ricordi mai il titolo della
canzone, ma alla fine non è importante, no? Voglio dire, esiste
sempre Shazam per quello. Come quando balli in discoteca: è un
sottofondo, è più importante l’emozione che ti provoca rispetto a
quello che dice. Io la definirei un tipo di musica libera, o almeno a
me fa questa impressione, mi fa sentire meglio.»

Alla faccia di chi
dice che la musica classica ai giovani non suscita niente.

Forse non hanno fatto un
esperimento
così sbagliato gli autori Rai di Sanremo 2014, che hanno
utilizzato come apertura e chiusura del festival un brano di Verdi e
Wagner,
dei quali si festeggia il bicentenario
della nascita,
oppure si può ricordare il grande successo di pubblico dello
spettacolo “Red
Bull Flying Bach
”,
dove ballerini di breakdance si sono esibiti sulle musiche di Bach.
Forse è solo uno stereotipo, quello che vede i giovani come fruitori
esclusivi di musica commerciale.

Rimane
però da dire che secondo una ricerca ISTAT
sulle conoscenze
musicali, effettuata nel comune di Roma sugli studenti in uscita
dalla scuola secondaria di primo e secondo grado, emerge una assoluta
preferenza di musica pop (42%), rock (23,4%) e hip-hop (18,7%) mentre
il genere classico risulta una scelta elitaria (4,8%). Per quanto
riguarda le differenze per sesso, i ragazzi e le ragazze condividono
le stesse scelte, tranne una preferenza delle ragazze per il pop e dei
ragazzi per il rock.

In
generale la partecipazione a eventi musicali dal vivo è scarsa: il
48% non va mai a concerti di musica classica, il 36,9% non va mai a
quelli di musica leggera e il 45% mai a quelli di bande. Nel caso
della musica classica è evidente un disinteresse diffuso soprattutto
tra i maschi, infatti il 54% dei ragazzi dichiara di non andare mai a
concerti di musica classica contro il 42% delle ragazze, mentre solo
il 6% del totale frequenta le sale da concerto più di 5 volte in un
anno. La situazione sembra migliorare per la musica leggera, dato che
in questo caso scende al 42% la percentuale dei maschi che non va mai
a sentire musica dal vivo e il 12% del totale dichiara di andare più
di 5 volte senza, in questo caso, differenza significativa per sesso.
Gli stimoli alla partecipazione e all’ascolto della musica classica
provengono quindi prevalentemente dalla scuola e dalla famiglia che
confermano il ruolo di propositori di interessi diversi da quelli
coltivati autonomamente dai ragazzi.

Bach
e Allevi. Ci sono differenze? Sembra proprio di si.

«Bach…Certo,
tutto bello quanto vuoi, ma dopo un po’ mi stufo, mi perdo
nell’ascolto. Invece Allevi, ma anche Einaudi, sono diversi, posso
ascoltarli per ore e mi rilassano sempre», mi spiegano un ragazzo
con le converse e una ragazza con la giacca nera di pizzo. «È una
melodia più commerciale, se vuoi metterla così, ovvero la capiamo
di più rispetto ai grandi classici, un po’ come leggere un fumetto
sull’Iliade piuttosto che il mattone di Omero. Non ci sentiamo vecchi
ad ascoltare queste cose, invece con la musica classica doc, beh, c’è
un abisso rispetto a noi.»

Adesso
mi è più chiaro: le statistiche non sono così distanti dalla
realtà.
Il problema è una mancata abitudine ad ascoltare la musica
classica, non un disinteresse generico, nonostante i conservatori
siano pieni di aspiranti pianisti e compositori.

Il
merito di personaggi come Allevi, allora, sta nell’essere un ponte
tra la musica “colta” ed il pubblico più giovane, avvicinando
gli animi attraverso le emozioni che anche una singola nota può
esprimere. Poco importa se famosa o no. Meglio ancora, come nel caso
di Allevi, se è lo stesso pianista a comporre quelle note in
sequenza: suona musica scritta da lui, a “sua misura”.

La
musica classica alta
, invece, è stata scritta da compositori che
vengono portati in concerto da altri, con la loro sensibilità, la
loro interpretazione di quelle stesse note scritte, una differenza
strutturale enorme: non è però detto che l’avvicinarsi di un
pubblico giovanile alla musica classica contemporanea si limiti alla
fruizione di essa, anzi, questo aspetto rappresenta solo un inizio,
un gusto che si può estendere alla musica considerata “d’elite”.
Stento ad immaginare autori come Beethoven o Rachmaninov patrimonio
privato di pochi eletti, considerando anche i vari remix elettronici,
ad esempio, di loro brani che si possono ascoltare su Youtube.

«La
musica è musica.
Mi sembra una domanda scema chiedere se preferisco
musica classica o house, dipende dalle situazioni, dai momenti del
giorno in cui mi trovo, se sono da sola o con amici. La musica mi
porta lontano con la testa, mi fa sognare, ci sono canzoni che mi
dicono tutto, perchè magari mi riportano a ricordi, o niente, perchè
le trovo brutte o insulse, ma in ogni caso cercherò sempre qualcosa
di nuovo da ascoltare che faccia da playlist alla mia vita. Sfido
chiunque a sopportare anche solo una settimana senza ascoltare una
qualsiasi musica, diventeremmo tutti isterici e isolati, è vitale,
non c’entra niente il gusto personale. Sono qui oggi per scoprire
Allevi, non lo conosco affatto, sono appassionata di tutt’altro
genere, ma questo non significa che non mi lascio coinvolgere dalle
novità», mi risponde accorata una ragazza intenta a fumarsi una
sigaretta sulle scale esterne dell’edificio. Concordo con lei. Un
ragazzo ci ascolta e commenta: «A me invece la musica fa riflettere.
Mi succede spesso che ascolto un brano e poi lo interrompo a metà,
penso in silenzio, mi appunto i pensieri su un foglio e poi riprendo
l’ascolto. Io la chiamo la musica
del silenzio

questa, e mi succede ancora più di frequente ascoltando musica
classica. Insomma, mi aiuta a crearmi la mia, di musica.»

Sulle
note della “musica del silenzio”, si apre finalmente la porta.

Il
brusio diventa silenzio, mentre sul palco nasce una nota.

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