Attualmente l’Italia sta cercando di spingere sulle vaccinazioni, nonostante i ritardi e le difficoltà che ha avuto nell’acquisizione e nella distribuzione dei vaccini. Per molti è fonte di grande gioia, un raggio di luce e di speranza, ma per altri è fonte di preoccupazione e incertezza.
Dallo scorso anno, molti si sono espressi contro il vaccino perché dubitano della sua efficacia, anzi temono che sia pericoloso, dopo che ci sono stati casi di persone morte dopo essere state vaccinate. A questo si aggiunge la comparsa di nuove varianti del covid-19, come quella brasiliana, quella sudafricana e quella inglese.
La professoressa Teresa Doni, docente di Teorie sociali della comunicazione che lavora da molti anni presso la Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università Pontificia Salesiana, conosce i processi e gli aspetti sociali e psicologici che fanno parte della comunicazione umana. Ha accettato di parlare del rifiuto che una parte della popolazione italiana ha nei confronti del vaccino anti covid-19.
Nei giornali appaiono notizie su come si sono diffuse nella popolazione italiana,così come in altre parti dell’Europa, reazioni negative sul vaccino anti covid-19. Qual è la sua opinione?
«Il movimento no-vax non è certo un fenomeno legato esclusivamente alla pandemia da coronavirus. Già da anni si è andata formando una mentalità di rifiuto nei confronti dei vaccini in generale, tanto che molti genitori si rifiutano di far vaccinare i propri bambini, con l’aumento del rischio di malattie per loro e per i loro coetanei, compagni della scuola materna o delle prime classe elementari. Questo rifiuto è dettato soprattutto dal timore che i vaccini possano provocare l’autismo nei bambini, oppure dall’opinione che siano troppi quelli che vengono somministrati, alcuni dei quali ritenuti inutili e a esclusivo vantaggio delle industrie farmaceutiche. Rispetto al vaccino del Covid-19, la diffidenza è da attribuirsi soprattutto all’eccessiva velocità in cui questo vaccino è stato prodotto, e quindi alla scarsa affidabilità delle sperimentazioni. Ovviamente il ruolo della stampa e delle notizie diffuse è preponderante per la diffusione di questa mentalità, con l’eccessiva enfasi messa su alcuni casi di reazione avversa (tra l’altro inevitabili nei confronti di ciascun farmaco). Anche la disinformazione che circola, soprattutto nei social, contribuisce alla crescita della paura e del sospetto che la pandemia e la successiva necessità del vaccino, sia tutta una montatura per sottomettere la popolazione mondiale al controllo dei governi e delle multinazionali del farmaco».
Questa situazione può essere il risultato di una manipolazione del pubblico o il risultato di una mancata formazione all’uso dei media?
«Probabilmente dipende da entrambe le cose: alcuni agenti della comunicazione, collegati a forze di potere politico o altro, hanno interesse a far passare informazioni sbagliate o false e l’incapacità di una certa parte del pubblico di distinguere le notizie vere da quelle false, o di andare a cercare le fonti legittime, concorrono alla diffusione del malcontento e della sfiducia nei confronti delle istituzioni».
Secondo lei chi e perché è più coinvolto in questa situazione di rifiuto?
«Come già detto, l’incapacità di distinguere tra le notizie e quindi una certa forma di ignoranza nel campo della comunicazione, così come la maggiore influenzabilità da discorsi di stampo populistico e qualunquistico, caratterizzano le persone che, più di altre, rimangono affascinate da teorie complottiste o dimostrano atteggiamenti di rifiuto verso tutto quello che può sembrare costrizione e controllo da parte di chi detiene il potere».
Secondo lei, nel futuro immediato quale sarà il panorama delle vaccinazioni, ancora di rifiuto?
«Questo è difficile da prevedere. Certamente le disavventure del vaccino AstraZeneca possono continuare a influire sulla diffidenza di larga parte della popolazione. Probabilmente però, la costatazione di un miglioramento generale della situazione per la diminuzione del contagio, grazie proprio alle vaccinazioni, può anche portare a una maggiore fiducia e quindi a una loro più ampia accoglienza».
Anche l’informazione professionale ha fatto degli errori social, ma i network sono lìambiente di maggior diffusione delle fake news. Lei che ne pensa?
«Io sinceramente non credo alle teorie complottiste. La diffusione di fake news è legato ai social network, perché la pubblicazione di notizie e informazioni non passa attraverso un controllo, che ne può garantire l’autenticità e quindi tutti possono dire tutto quello che vogliono. È importante che tutti imparino ad andare a verificare le notizie che leggono e soprattutto non diffondano e condividano informazioni chiaramente false e fuorvianti.