La pandemia Covid-19 con i suoi effetti devastanti non ha risparmiato nessun settore di attività, nessun strato sociale o nessuna generazione. Sia gli anziani che i giovani sono stati colpiti da questa epidemia. Se è vero che i più anziani sono quelli che soffrono di più il virus (secondo i dati ufficiali), i minori, sebbene vulnerabili, se la passano un po’ meglio in termini di salute, ma subiscono tutto il peso delle conseguenze a livello sociale.
Uno dei settori in cui i minori sono stati condizionati nelle loro libertà e nel diritto di vivere pienamente la loro gioventù (oltre alla scuola, naturalmente) è il settore del lavoro.
La triste situazione del lavoro minorile, comune in molti paesi, in particolare in quelli a basso reddito, è stata aggravata dalla crisi sanitaria che sta attraversando il pianeta. Le strategie sviluppate a livello internazionale e dai diversi Paesi per arginare gli effetti del lavoro minorile da vari anni, e che tendevano a dare risultati parzialmente soddisfacenti, vista la globale diminuzione del numero di minori impegnati nel duro lavoro, si sono quasi arrestate a seguito dell’insorgenza della pandemia. Si teme, quindi, una forte inversione di tendenza. Nel suo rapporto pubblicato nel 2016 sulla situazione del lavoro dei minori nel mondo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha segnalato la diminuzione del numero dei minori lavoratori da 245 milioni di minori a 152 milioni nel periodo 2000-2016, ossia una diminuzione del 38% in 16 anni.
Tuttavia, è probabile che questi risultati soddisfacenti vengano interrotti o addirittura rallentati a causa della pandemia di Covid-19. Nella relazione dal titolo Covid-19 e lavoro minorile: una crisi, un’opportunità per agire pubblicata nel 2020, l’Ilo e il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) indicano le implicazioni della crisi per il deterioramento delle condizioni di vita di milioni di minori nel mondo. In questo rapporto, le due agenzie delle Nazioni Unite evidenziano i principali fattori di rischio che potrebbero costringere i minori a lavorare di più. Tutti i fattori elencati ruotano attorno all’economia che è appunto il fattore emblematico. In effetti, la pandemia Covid-19 ha bloccato l’economia in quasi tutti i paesi del mondo a seguito di misure di contenimento. Le offerte di lavoro stanno diventando scarse, l’orario di lavoro è diminuito considerevolmente portando a una perdita di guadagni per milioni di lavoratori (345 milioni di perdite di posti di lavoro a tempo pieno nel 2020 secondo il rapporto ILO sulla caduta dei salari).
La conseguenza si riversa sul calo del tenore di vita che porta diverse famiglie non più a vivere, ma a sopravvivere. In questa condizione, secondo l’Ilo e l’Unicef, per molti Paesi una delle soluzioni è far lavorare i minori, «perché le famiglie cercano di sfruttare tutti i mezzi di sopravvivenza a loro disposizione». Il rapporto stima che «se la povertà aumenta di un punto percentuale, il lavoro minorile aumenterà di almeno 0,7 punti percentuali». Ciò significa che maggiore è la povertà, maggiore è il rischio che i minori lavorino per provvedere ai bisogni della famiglia. Le famiglie costrette a vivere in estrema povertà sono, per la maggior parte, costrette a ritirare i loro figli minorenni dalla scuola (perché non possono permettersi il pagamento delle tasse scolastiche), per “trasformarli” in fonti di reddito.
Il rapporto rileva, inoltre, che la mancanza di prospettive di lavoro e il calo dei salari a seguito della pandemia stanno costringendo i lavoratori a svolgere un lavoro informale o a svolgere un lavoro dove sono sottopagati, «il che può comportare un ulteriore calo del reddito», e di conseguenza aumentare la ricerca di lavoro, si dice nel rapporto. L’aspetto più allarmante è che «rispetto agli adulti, i minori hanno maggiori probabilità di accettare lavori meno retribuiti e condizioni di lavoro non sicure. Pertanto, alcune aziende potrebbero reclutare deliberatamente minori per ridurre i costi e aumentare i profitti», rivelano ancora l’Ilo e l’Unicef.
In questo periodo di confinamento quasi generalizzato, la strategia di sopravvivenza sviluppata da diversi genitori è quella di far uscire i propri minori al posto loro, il motivo è che sono meno visibili rispetto agli adulti, «le testimonianze raccolte in diversi paesi rivelano che i minori, considerati risparmiati dal Covid-19, sono fatti lavorare al posto degli adulti. Si prendono cura dei propri cari malati, fanno la spesa e svolgono altre attività che richiedono loro di violare le misure di quarantena. Integrano il reddito familiare quando gli adulti non possono lavorare, soprattutto perché sono meno visibili e hanno meno probabilità di essere arrestati dalla polizia, consentendo loro di aggirare o ignorare le misure del coprifuoco».
Si ricorda che le Nazioni Unite si sono impegnate a porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025, come stabilito nell’obiettivo 8 dell’Agenda 2030. Con questa pandemia che continua a imperversare, la situazione dei minori costretti a lavorare andrà di male in peggio, se non si farà nulla.