Il mondo dei “social” ormai ci ha raggiunti ovunque, capire quale sia il netto confine tra ciò che siamo sui social e nelle vita reale è praticamente impossibile.
Siamo nell’era delle app e delle identità inventate, immaginate, ma soprattutto perfette, infatti appariamo tutti più belli rispetto a quello che siamo nella vita reale e nella quotidianità, ma tutti sappiamo bene che ciò che emerge da questi social (Twitter, Facebook) non è quello che siamo di tutti i giorni.
Patricia Wallace, insegnante della Graduate School di Maryland University College che si occupa di psicologia delle relazioni e dell’apprendimento, attraverso ricerche e studi ha tracciato il profilo psicologico di chi si interfaccia sui social.
Si ha per l’appunto una visione potenziata di se stessi, che porta in un certo senso a un narcisismo, una visione distorta e alterata della realtà. L’abuso compromette la stessa psiche della persone, creando effetti negativi per il nostro cervello.
Ciò che perdiamo è la nostra vera identità, la nostra stessa natura; passare troppo tempo su un social come può essere Facebook ti può far sprecare tempo, facendoci dimenticare che la vita sui social è fittizzia e la vita vera si vive e ci dà emozioni al contrario di appuntamenti virtuali sui social che ci rendono infelici.
La vita cosidetta “online” ci stressa e ci rende nervosi senza nemmeno rendercene conto. È chiaro che vogliamo essere online perchè tutti vorremmo una vita da sogno, dove si sta sempre sul mare, sorseggiando apertivi e degustando cene “Gourmet” a più non posso, ma la vita vera è un altra, è fatta anche di sofferenza, sacrifici e ipegno e non solo di momenti felici come i “social” ci vogliono lasciar intendere.
I destinatari principali di questo modo di vivere sono i giovani, anche se gli adulti ne fanno un uso smodato a causa anche di nuove figure lavorative professionali.
Esiste quella che ormai si definisce vita offline, fatta di apparenza e momenti apparentemente felici e perfetti, una vita che dovremmo prendere tutti un po’ più in considerazione, in questo marasma di piattaforme online.
Non scordiamoci che siamo essere umani e non macchine, che viviamo di emozioni e sentimenti e che senza di questi la nostra vita diventerebbe sempre più buia e vuota, come già sta accadendo, senza sapere che condividere tutto è perderlo, perchè è già morto se reso pubblico.
L’importante non è cosa si pubblica, ma la notorietà che si ha nel pubblicare quel qualcosa e così facendo si innesca quel meccanismo a spirale dell'”essere virali”, confermando il detto sentito e risentito nel nostro gergo giornalistico: “Se ne parli bene o male, puchè se ne parli”.