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Ci aiuterà la radio a navigare tra i flutti del cambiamento climatico? O invece peggiorerà l’ambiente? La giornata mondiale della radio del 2025, dedicata al tema del cambiamento climatico, mi sembra porre in fondo questo interrogativo a noi che la facciamo. E per capirlo, secondo me, conviene dare un’occhiata ad alcuni suoi momenti storici e misurarle il polso.
Innanzi tutto, la radio conosce bene i momenti di crisi.
Quello del Titanic è stato un disastro terribile: romanzi, film, canzoni hanno raccontato l’affondamento in tutti i modi. Eppure, ci sono stati ben 705 sopravvissuti nell’oceano gelido e sterminato. Come è potuto accadere che si siano salvati? Le cronache dicono che arrivò un’altra grande nave, il Carpathia. E quelli del Carpathia come hanno trovato il punto dove il transatlantico stava affondando? Forse qualcuno l’avrà immaginato, canticchiando quella strofa di Titanic, la canzone di Francesco De Gregori: “E il marconista sulla sua torre, / le lunghe dita celesti nell’aria, / riceveva messaggi d’auguri / per questa crociera straordinaria. / E trasmetteva saluti e speranze/ in quasi tutte le lingue del mondo, / comunicava tra Vienna e Chicago / in poco meno di un secondo”. Il marconista è l’operatore addetto alle comunicazioni radio sulle navi o sugli aeromobili, quindi colui che usa l’invenzione di Marconi, cioè la radio, la comunicazione senza fili.
Guglielmo Marconi in persona Il 21 febbraio 1912 aveva installato un radiotelegrafo di sua invenzione sul Titanic. Era la prima volta in assoluto che veniva usato su un’imbarcazione un dispositivo di questo tipo, che avrebbe salvato molte vite durante il naufragio, la notte tra il 14 e il 15 aprile. Gli armatori avevano invitato Marconi a intraprendere anche lui il viaggio inaugurale, ma l’inventore aveva rifiutato, però dopo il disastro volò a New York ad accogliere i superstiti e a consegnare un premio al marconista Harold Bride, rimasto al suo posto a lanciare messaggi di soccorso anche quando l’acqua aveva raggiunto il ponte dove si trovava. Rinunciando al viaggio, comunque, Marconi aveva perso l’occasione probabilmente unica nella storia di essere salvato proprio grazie alla sua invenzione.
È bello immaginare che gli usi della radio siano soprattutto quelli sociali, è un sollievo pensare che una persona in pericolo possa chiedere soccorso via radio. Però quasi subito il motivo principale per cui venne usata l’invenzione di Marconi fu la propaganda politica. I governi capirono immediatamente che potevano far arrivare la voce dei governanti nelle case dei cittadini. Basti pensare al film Il discorso del re, tutto incentrato sulla necessità che Giorgio VI faccia una bella figura di fronte alle orecchie dei sudditi all’ascolto, vista la sua balbuzie. In una puntata della serie televisiva Downtown Abbey, il misoneista Robert Crawley, conte di Grantham, accetta di fare entrare una radio nella sua magione, solo per ascoltare la voce di un re. E in Italia la Seconda Guerra Mondiale venne combattuta non solo sui campi di battaglia, ma anche nell’etere, tra l’Eiar del Duce e Radio Londra. Come nel resto del mondo.
Nel frattempo, come sappiamo tutti, la radio si è sviluppata soprattutto per l’intrattenimento. A fronte di molte emittenti che comunicano notizie, ve ne sono innumerevoli che servono esclusivamente a trasmettere canzoni, a divertire e a far passare il tempo. I personaggi della radio hanno fatto innamorare e riflettere, accompagnare viaggi e alleviare solitudini. Eppure, sempre tutti a dire che sarebbe morta presto, soppiantata dalla televisione oppure dal web. Niente di più falso, finora. La radio avvicina strati di pubblico, spesso crea comunità, funziona quasi come un moderno social, si raccorda perfettamente con Facebook, Instagram, ecc. Gli ascoltatori di una trasmissione si scoprono simili, vivono la stessa piccola o grande esperienza d’ascolto, si riconoscono. I fan del Ruggito del coniglio chiamano conigli i conduttori, ma si definiscono conigli anch’essi. La possibilità di influire sui comportamenti collettivi sembrerebbe assicurata. Da questo punto di vista, ne sono testimoni alcune trasmissioni ed eventi come “M’illumino di meno” di Caterpillar. Possiamo dunque sperare che accorti radiofonici sensibilizzati sulla crisi ambientale possano influire in qualche modo sulle nostre abitudini peggiori, ma anche qui ricordiamoci che se c’è chi dice di illuminare di meno c’è sempre anche chi spinge a illuminare di più, per farsi vedere e ascoltare meglio.
La radio, oltre ad avere un gran passato, avrà ancora molti anni di futuro da vivere, i mezzi di comunicazione di massa – a quel che possiamo vedere nello sviluppo della loro storia – non vengono sostituiti, il più vecchio dal più recente, come talvolta si è pensato in passato. Devono piuttosto affrontare situazioni impreviste, spesso cambiare forma. E in questo senso, la radio si trova di fronte perlomeno a due nuove sfide, nella sfida green del pianeta.
Da una parte si sta interfacciando con il piccolo schermo per quella che si chiama visual radio, cioè la sua versione video, che deve rimanere “radiofonica”, anche se arriva potenzialmente a tutti i fruitori della televisione generalista e – parcellizzata in reel, post, video e stories – raggiunge gli smartphone. Dall’altra sta abbandonando in parte una delle sue caratteristiche essenziali, cioè l’ascolto in simultanea di migliaia di persone, per trasformarsi nel podcast, un programma che si ascolta preferibilmente in cuffia, da soli, nel momento in cui si sceglie di farlo, senza seguire un palinsesto, ma costruendoselo da sé, scaricando un audio generalmente da una piattaforma.
E ci scommetto che ci saranno nuovi autori e conduttori adatti all’epoca che li aspetta, toccherà a loro rendersi conto se stanno sostenendo i comportamenti collettivi positivi oppure quelli nefasti (come spesso nella storia), perché alla radio – sapete – non è per davvero il mezzo il messaggio, ma la persona.