Roma, Via della Stazione Laurentina. Accanto a dei murales coloratissimi, una frase dura come una sassata: «La verità sui muri… le menzogne sui giornali!!!». Anche se non ci sentiamo di sottoscriverla, ai muri va riconosciuta una funzione sociale: quella d’essere un luogo aperto, fuori controllo, pronto ad accogliere sfoghi e denunce, opinioni e appelli. Che, evidentemente, non trovano ospitalità nei luoghi sotto controllo (il che spiega l’ostilità verso i giornali).
E poi non sempre stillano verità, i muri: spesso contengono solo oscenità. Non sempre consentono un civile confronto: basta vedere le scritte dei tifosi. Non sempre hanno toni civili: talvolta prediligono quelli urlati, come «Bruciare le strade dei ricchi» (letta a Trento).
Ci piacciono muri dai toni più sommessi. Quelli su cui si scarica la tensione (ad es. in ospedale, nelle sale d’attesa dei quasi-papà). Quelli che non si prestano a scritte, ma offrono fessure per infilare preghiere (come succede a Gerusalemme, al Muro del Pianto e al Santo Sepolcro). E, più di tutti, quelli che regalano una nuova visione del mondo: «Meno Internet, più Cabernet» (letta in Friuli), «Comunque è uno che si era perso» (letta sotto la statua di Cristoforo Colombo, a New York) e «Dio creò la Padania, poi si accorse dell’errore e creò la nebbia» (letta a Napoli).
Non sempre sono seri, i muri: assieme alla propensione per le sentenze, ne hanno anche una per il cazzeggio. Come Facebook. Non è un caso che da ragazzi siamo stati tentati di vergare sul muro la questione morale che ci assillava: «Può una gallina sterile adottare un uovo?». Meno male che abbiamo desistito: non solo le domande non sono adatte ai muri, ma certe domande andrebbero messe al muro.