C’è stato un tempo in
cui si poteva viaggiare da nord a sud in Europa senza passare mai per un Paese
governato dalla destra. Erano gli anni ’90, quelli della cosiddetta “terza via”
percorsa da leader come Clinton negli Stati Uniti, Blair in Gran Bretagna,
Schroeder in Germania e Prodi in Italia. La sinistra cercò una svolta e la
trovò correggendo gli eccessi statalisti del passato, conciliando merito e
bisogno, sicurezza e democrazia, welfare e capitalismo. Tutto ciò costò non
poche critiche ad un socialismo che secondo molti fu sempre meno fedele al suo
progetto iniziale, ma questa sinistra centrista ed europeista governava o
guidava coalizioni al governo in 13 degli allora 15 Paesi dell’Unione Europea. Oggi
il panorama politico è molto diverso e il 2017 rischia di chiudersi con la
sinistra in minoranza in quasi tutti i 28 Paesi UE.
La tendenza in atto
vede l’Europa prendere un’altra via: la svolta a destra o, in più di un caso, verso
l’estrema destra. La Francia, con Marine Le Pen del Front National (partito di estrema
destra euroscettico), è ad un ballottaggio per la presidenza in cui per la
prima volta nella storia della Quinta Repubblica mancano i socialisti (centro
sinistra) e i repubblicani (centro-destra). Anche se dovesse perdere contro il
più quotato Macron (candidato indipendente, vicino all’area di sinistra), la Le
Pen avrebbe raggiunto un risultato senza precedenti. In tutta Europa sono
tornate prepotenti le forze nazionaliste e crescono giorno dopo i giorno quei
populismi che fomentano discriminazioni, xenofobie e paure. In Polonia, il
partito di estrema destra Diritto e Giustizia è al governo; in Ungheria, Orban
(il premier dei muri contro gli immigrati) è persino un moderato rispetto ai neo-nazisti
di Jobbik, formazione diventata la terza forza politica del Paese. In Gran
Bretagna, la Brexit ha rafforzato il consenso dei conservatori (anche se in
grande maggioranza proprio loro non la volevano): il partito della premier May,
secondo i sondaggi, è al 43% , contro il 25% dei laburisti e a giugno si voterà
di nuovo.
In Germania è il centro destra a dominare dal 2005, anno in cui
Angela Merkel è divenuta cancelliera. Il suo avversario alle prossime politiche
(24 settembre 2017) sarà Martin Schulz, socialdemocratico ex presidente del Parlamento europeo, mentre sul
terzo fronte sta aumentando i consensi l’AFD, il principale partito tedesco di
destra radicale, che sta puntando molto sulle scelte impopolari che la Germania
ha fatto accogliendo circa 1 milione di siriani nel corso del 2015. È un fatto
molto rilevante, perché sarebbe la prima volta che un partito di estrema destra
entra in parlamento dalla fine della Seconda guerra mondiale. E stando ai
sondaggi ci entrerà con prepotenza. Le cose non vanno meglio in Olanda, dove Mark
Rutte (Vvd, liberal democratico) ha vinto delle elezioni politiche di un soffio
su Geerd Wilders, leader del Pvv, un partito di estrema destra islamofobo,
populista e anti-Ue. Rutte, considerato il salvatore della democrazia dalla
stampa internazionale, per fare un esempio, ha spiegato agli immigrati che sono
i benvenuti solo se condividono i valori olandesi oppure è meglio che se ne
vadano. Piaccia o no, sono i temi identitari che dominano.
In Austria ha vinto Van
der Bellen dei verdi, battendo al ballottaggio Norbert Hofer, rappresentante
del partito di destra FPO, nazionalista e populista. I popolari e i
socialdemocratici sono stati eliminati al primo turno. In Turchia c’è un uomo
solo al comando, Recep Tayyip Erdogan, soprattutto dopo che ha sventato un
colpo di Stato (con tanto di purghe) e ha portato il Paese verso una repubblica
presidenziale che per forme e contenuti somiglia molto ad una dittatura
legalizzata. Erdogan e il suo Akp sono i conservatori turchi, la destra del
Paese. Italia e Spagna (con Movimento 5 Stelle, Podemos e Ciudadanos) sono
invece due casi in cui il pluralismo politico è talmente evidente da creare
vere e proprie paralisi politiche. Noi abbiamo un governo di larghe intese dal
2013, in cui centro destra e centro sinistra hanno fatto alleanze; la Spagna
non ha avuto un governo per 316 giorni, prima di concedere al popolare Rajoy la
possibilità di formane uno con il passo indietro dei socialisti. Nel Paese
iberico mancano movimenti xenofobi e partiti nazionalisti, in Italia invece ci sono i
neofascisti di Casa Pound e Forza Nuova, ma sono ancora lontani dall’avere un
importante peso politico e solo la Lega Nord (meno estremista, ma comunque nazionalista) sale nei sondaggi.
Tutti gli estremismi europei forniscono, in modo sempre parziale e con
argomenti deboli, delle risposte a tante problematiche, trovando sempre un
capro espiatorio: colpa del diverso, dello straniero che ruba il lavoro, dell’Europa che fa figli e figliastri e crea
servi e padroni, dei mercati che uccidono l’economia. Per questo
motivo, anche quando non vince le elezioni, l’estrema destra conquista seggi
nei parlamenti e va al ballottaggio. Il sistema
non è stato in grado di dare delle risposte ai bisogni di un popolo stanco, arrabbiato
e sempre più impoverito economicamente e culturalmente. La sinistra, quella che
ha governato l’Europa per anni, ha di certo le sue responsabilità in tutto
questo. Molti analisti, tra cui Paolo Valentino del Corriere della Sera,
sostengono come abbia sprecato la sua opportunità facendo promesse che poi non
ha potuto mantenere: non ha impedito l’aumento della disparità sociale, ha sottovalutato
l’impatto dell’immigrazione sulle classi popolari che si sentono vittime
incomprese, non ha saputo porre freno alla disoccupazione, al disagio
giovanile, alla crisi monetaria globale. Per il suo futuro, la sinistra dovrà
riflettere su tutto questo e capire da dove ripartire per costruire un’alternativa
credibile alla destra più estrema. Altrimenti la svolta estremista dell’Europa
potrebbe diventare un cambio di rotta definitivo.