Partiamo da una considerazione che chiunque si appresta a leggere dovrebbe tenere bene a mente, soprattutto in questi giorni: islam non è sinonimo di Isis. Islam non ha nulla a che fare con attentati, bombe, kamikaze e guerra santa. Ma per parlare dell’Islam bisogna conoscere l’Islam, un termine che deriva da “slim”, il cui significato è “sottomissione volontaria (e quindi non forzata, che presuppone l’uso dell’intelletto) a Dio”, ma anche “pace”.
La pace in cui crede l’Islam si fonda infatti su uno dei punti fermi del Corano (e della Bibbia), ossia la storia del primo omicidio dell’umanità, ad opera di Caino (in arabo Qabīl) sul fratello Abele (Habīl). Essa si trova nella quinta Sura del Corano, versetti 27-31. A conclusione di questa vicenda, Dio dice: «Chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità.» (Surah al-Maaida, 5:32). Per comprendere ancora meglio, quando un musulmano incontra un altro musulmano, essi sono soliti usare il saluto di pace: ”as-salamu ‘alaykum = pace su di te”, e l’altra persona risponde dicendo ”’alaykumus salam = su di te la pace”.
E la Jihad? In nessun passo del testo sacro si incita alla guerra per prevaricare sugli altri, ma solo come forma di autodifesa. Innanzitutto c’è una differenza sostanziale tra Jihad maggiore e Jihad minore. Semplicemente, la prima è sinonimo di combattimento interiore tra corpo e anima, tra lo spirito e i piaceri della carne. La Jihad minore invece è la lotta armata, ma non presuppone ad ogni costo la violenza. Il Corano è molto chiaro quando spiega: “A coloro che sono stati aggrediti è data l’autorizzazione [di difendersi], perché certamente sono stati oppressi” (Surah al-Hajj, 22:39-40). E ancora: “Combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, ché Dio non ama coloro che eccedono” (Surah al-Baqara, 2:190). Ma soprattutto, (e qui vi è il messaggio di pace e speranza): “ma se ma se essi {il nemico} inclinano alla pace, inclina anche tu ad essa e riponi la tua fiducia in Dio” (Surah al-Anfal, 8:61). In breve, l’Islam vuole che i musulmani siano forti per rispondere all’arroganza, ma devono però tendere la mano anche verso i loro nemici quando nel nemico c’è la pace.
Molti potranno argomentare che comunque si tratta di un Dio che non disdegna la lotta. La nostra cultura ebrea-cristiana però in alcuni passi del Vecchio Testamento presenta anche lei questa “versione” dell’Altissimo. “Prendi tutti i capi del popolo e falli impiccare davanti al Signore” (Numeri 25: 4) oppure “Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi”. (Numeri 31: 17-18). Ma chi ha studiato la storia, i contesti e i destinatari per cui i testi sacri vengono scritti, sa anche che esiste un problema dell’interpretazione. Un messaggio, valido ed attuale nel VI secolo a.C. oppure nel 650 d.C. oggi può sembrare lontano, ma nella sua funzione primaria era necessario in quel modo e in quella particolare forma. Così, se Allah parla di “uccidere ovunque incontrate gli infedeli, scacciandoli da dove vi hanno scacciati” (Surah al-Baqara, 191) lo fa perché la storia narra di un episodio in cui i musulmani di Medina sono assaliti dai miscredenti di Mecca e devono necessariamente difendersi. “Ma se desistono, non ci sia ostilità, a parte contro coloro che prevaricano” aggiunge Dio. Anche nella Bibbia, quando Dio chiede ad Abramo di uccidere Isacco, il figlio, appare come una divinità crudele, ma quel messaggio, per i popoli che lo ascoltavano in quel determinato contesto storico significava l’affidarsi a Dio anche nei momenti bui della vita di fede, nella sofferenza e nella difficoltà. Era la risposta ad un Dio che a volte sembrava contraddire la sua bontà.
Il problema dell’interpretazione crea gli estremismi. Lo sapeva bene Oriana Fallaci, scrittrice e giornalista, tra le menti più brillanti che ha prodotto l’Italia nel ‘900. Eppure, fu lei a lanciare quell’invettiva contro il mondo islamico dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. I social network la stanno riabilitando in questi giorni, usando le sue parole e descrivendo i fatti di Parigi come la “Crociata alla rovescia” e la “guerra di religione voluta e dichiarata” predetta in un articolo dal titolo “rabbia e orgoglio”. Parlava di attacco alla libertà e alla civiltà e della necessità di reagire, con tutti i mezzi possibili. Ma l’Islam non è l’Isis, anzi i nemici più odiati dal Califfato sono proprio i moderati, quelli che si distinguono al grido di “Not in my name”: non uccidete nel nome del mio Dio. Le vittime di New York sono state “vendicate” con il sangue di tanti innocenti mescolato al petrolio, ma i ricorsi storici e l’attentato nella Capitale francese ci riportano oggi, 14 anni dopo, in una situazione analoga.
Per questo, dall’altra sponda del fiume c’è il pensiero di Tiziano Terzani (che contestò ferocemente la Fallaci) e di tutti quelli che come lui, oggi richiamano all’etica e all’intelligenza di non rispondere alla guerra con la guerra. Un richiamo all’etica e al rispetto della vita umana: “E’ un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. […] Pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa. Perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali”